Termovalorizzatori sì o no: il caso Italia

In Italia, la questione riguardante i termovalorizzatori è sempre molta accesa. Per poter formulare un nostro proprio pensiero critico non ci resta che avere ben chiaro il quadro generale della situazione.

L’origine di questo dibattito è dovuta all’emergenza rifiuti che caratterizza diverse regioni del centro-sud. In questi casi, le discariche non riescono a smaltire la gran quantità di rifiuto urbano prodotto a causa del metodo ormai obsoleto che le caratterizza. Il risultato è che l’Italia, dove l’utilizzo di termovalorizzatori è molto più basso rispetto agli altri paesi europei (si termovalorizza, infatti, circa 100 kg per abitante contro i 400 kg in Danimarca e Norvegia, e poco meno di 200 kg in Francia, Germania e Regno Unito), è costretta ad esportare rifiuti. Questi non sono che costi e in particolare l’Italia spende circa 200 € per ogni tonnellata proprio in direzione delle nazioni che li trasformeranno in energia e quindi in guadagno. Nel 2019, in base ai dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), i rifiuti del circuito urbano esportati sono stati circa 515mila tonnellate.

I vantaggi

Oggettivamente, quindi, il termovalorizzatore sarebbe una buona e tempestiva soluzione al problema. Non solo si avrebbero meno rifiuti da conferire in discarica e meno costi esterni dovuti all’esportazione ma anche si avrebbe una produzione energetica locale. Aspetto non trascurabile se si pensa alla necessità di raggiungere l’indipendenza energetica da paesi geopoliticamente instabili. Oggi infatti stiamo vivendo una nuova crisi energetica (dovuta alla dipendenza dal gas russo) non diversa dalla prima crisi di questo genere (che si ebbe già negli anni Settanta con lo scoppio della quarta guerra arabo-israeliana dovuto alla dipendenza dal petrolio arabo). Gli anni passano, la storia non cambia…

Le discariche, inoltre, contribuiscono alle emissioni di gas serra. Per esempio, secondo le stime del governo australiano, nel 2020 le discariche hanno rappresentato il 2,5% delle emissioni nazionali. La maggior parte di quelle legate alle discariche derivano dalla decomposizione di materiali organici che libera metano, un gas serra che ha un forte impatto sul riscaldamento globale (vedi articolo, Gas serra: quali sono e il loro impatto).

Gli svantaggi

Tuttavia, seppur l’uso dei termovalorizzatori comporterebbe una riduzione delle emissioni di metano dalle discariche e sebbene l’Imperial College parli di un impatto “modesto, se non infinitesimale” per quanto riguarda metalli pesanti e particolato per gli impianti di ultima generazione, c’è un aspetto condiviso: la combustione produce CO2.

ISPRA riporta che per ogni KWh termoelettrico prodotto da termovalorizzazione, vengono emessi 517,4 grammi di CO2. L’impronta di carbonio dell’incenerimento, come osservabile dalla tabella riportata, è nettamente inferiore a quella prodotta dall’uso di combustibili solidi, come il carbone (927,2 gCO2/kWh), ma superiore a quella delle centrali a gas naturale (371,7 gCO2/kWh).

Dunque, l’utilizzo dei termovalorizzatori meno impattanti è una buona soluzione rispetto allo smaltimento in discarica, ma solo nel breve periodo (dovuto al breve periodo di permanenza del metano rispetto all’anidride carbonica in atmosfera; vedi articolo, Faccia a faccia col nemico: la CO2), perché contribuisce ugualmente all’effetto serra.

Il ruolo dei termovalorizzatori secondo l’UE

Citando una comunicazione della Commissione europea sul ruolo dei termovalorizzatori:

Concetto ribadito anche nell’ultima direttiva sulle energie rinnovabili del 2018 e nel Piano d’azione per l’economia circolare del 2020. La direttiva europea, infatti, predilige il riciclo e il compostaggio rispetto al recupero energetico mediante i termovalorizzatori (vedi articolo, In cosa consiste un termovalorizzatore?), sia per limitare gli sprechi e incentivare l’economia circolare sia affinché gli obiettivi di transizione energetica siano raggiunti. Tali obiettivi sono descritti nel Fit for 55 che punta alla riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030, il riciclo minimo del 65% dei rifiuti urbani e il vincolo allo smaltimento in discarica fino ad un massimo del 10%, anche conosciuto come landfill cap, entro il 2035.

Per esempio, nei Paesi scandinavi l’attuale capacità di incenerimento è di circa il 50% dei rifiuti, ma con questa percentuale è impossibile arrivare al 65% di materiale riciclato. I corrispettivi ministri dell’ambiente stanno adesso lavorando a politiche di smantellamento: la Danimarca punta a ridurre nei prossimi anni di circa il 30% la capacità di incenerimento.

Emergenza rifiuti in Italia: dati alla mano

In Italia, la percentuale di raccolta differenziata nel 2020 si attesta al 63% della produzione nazionale, con una crescita di 1,8 punti rispetto al 2019. Spontaneamente, leggendo questo dato, si potrebbe pensare che l’impiego di termovalorizzatori non danneggerebbe il raggiungimento degli obiettivi. La realtà è invece differente.

Fonte immagine: Rapporto Rifiuti Urbani Ispra edizione 2021

Le percentuali, rispetto alla produzione totale dei rifiuti urbani di ciascuna macroarea, sono pari al 70,8% per le regioni settentrionali, al 59,2% per quelle del Centro e al 53,6% per le regioni del Mezzogiorno. Si nota come il 63% di riciclaggio nazionale è ottenuto non attraverso ad uno sforzo omogeneo sul territorio nazionale. In particolare, le regioni in cui si parla di emergenza rifiuti sono le stesse in cui il riciclaggio raggiunge i valori minimi: la Sicilia, per esempio, ha riciclato il 42,3% nel 2020 (si osservano comunque gli sforzi nella direzione giusta se si pensa che nel quinquennio 2016-2020, la percentuale di raccolta differenziata nella regione risulta quasi triplicata).

Scendendo ancora più nel particolare, a livello provinciale si osservano percentuali inferiori al 40% per le province di Palermo (29,4%), Crotone (32,7%), Foggia (36%), Catania (36,8%), Messina (38,6%) e Reggio di Calabria (39,6%). La Città metropolitana di Roma Capitale raggiunge il 50,4%. I livelli più alti di raccolta differenziata, invece, si rilevano sempre andando verso il Nord: la provincia di Treviso,  si attesta all’88,3%, seguita da Mantova (87,1%), Belluno (84,6%) e Reggio Emilia (82%).

Conclusioni

Emerge evidente come il timore di danneggiare l’economia circolare, incentivando l’utilizzo degli inceneritori senza curare adeguatamente politiche di prevenzione e riutilizzo, è alto. Questo soprattutto in aree urbane dove ancora l’importanza e i vantaggi del riciclo non è stata compresa del tutto.

L’idea, nel frattempo, del riciclo totale non è possibile, poiché non tutti i materiali si possono riciclare e perché il riciclo produce degli scarti (circa il 20% del materiale riciclato) che devono essere trattati in altro modo.

Sintetizzando, l’emergenza rifiuti scaturisce da una serie di errori fondati su negligenza, scarsa comunicazione e organizzazione. La costruzione dei termovalorizzatori è una risposta veloce e sicuramente utile per la gestione delle discariche. Il problema delle emissioni potrà essere risolto, si spera nel futuro prossimo, attraverso l’applicazione delle tecnologie di cattura della CO2 in fase di sviluppo. Ma comunque rimane il rischio che, prediligere una soluzione di questo genere, diventi un ulteriore motivo per continuare sulla via dello spreco, in particolar modo in aree urbane in cui la mentalità del riciclo, dell’economia circolare (necessaria per le future generazioni) deve mettere su radici.

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