Il negazionismo climatico: Climate delay

L’attenzione ai cambiamenti climatici e alla transizione energetica è al centro del dibattito politico in particolare nell’ultimo decennio. Negli anni passati, non era inusuale che diversi esponenti politici nei loro discorsi facessero leva sul negazionismo climatico, ossia la retorica secondo cui i cambiamenti climatici non sarebbero in atto o, in ogni caso, sarebbero piuttosto limitati.

Con l’evolversi però della conversazione pubblica su tali tematiche, sono state sviluppate nuove modalità e argomenti per minimizzare o ignorare la necessità di agire. Si assiste, quindi, a una forma di negazionismo climatico, meglio conosciuta come Climate Delay. Essa consiste nell’ammettere l’esistenza dei cambiamenti climatici fornendo però allo stesso tempo una serie di motivazioni che giustificano il non agire per la risoluzione del problema.

Pubblicato sulla testata scientifica Global Sustainability (Cambridge University Press, luglio 2020), lo studio Discourses of climate delay espone le più frequenti strategie introdotte per bloccare i progressi nelle politiche e alimentare il negazionismo climatico. Gli autori dello studio hanno individuato, in particolare, quattro macrocategorie di discorsi.

Whataboutismo

La prima argomentazione si basa su reindirizzare le responsabilità ad altri. Un esempio importante è l’individualismo, che sposta l’azione per il clima dalle soluzioni sistemiche alle azioni individuali, come ristrutturare la propria casa o guidare un’auto più efficiente. Un secondo discorso ampiamente diffuso sostiene che “altri Paesi o Stati producono più emissioni di gas serra e quindi hanno una maggiore responsabilità nel prendere provvedimenti”. Parliamo in questo caso di whataboutismo, cioè di una logica fallacia usata per screditare le argomentazioni di un avversario spostandole su qualcos’altro.

Coloro che sostengono questo discorso spesso utilizzano statistiche che dimostrano il loro piccolo contributo alle emissioni globali, oppure indicano grandi emettitori come la Cina. Una preoccupazione di fondo in questi discorsi è il problema del “free rider“: a meno che tutti gli individui, le industrie o i Paesi non si impegnino a ridurre le emissioni, alcuni beneficeranno delle azioni di coloro che sono alla guida della mitigazione del cambiamento climatico.

Questi tre discorsi che fanno gioco sul “reindirizzamento della responsabilità” affrontano la sfida di costruire una risposta equa e completa al cambiamento climatico. Tuttavia, troppo spesso pongono condizioni irrealistiche, implicando che, prima di agire, altri debbano prendere l’iniziativa. Così facendo, si sminuisce l’impegno alla politica climatica.

Spingere su soluzioni non impattanti

La seconda argomentazione si appoggia al genio umano e in particolare alla tecnologia. Sono discorsi in cui si promuovono soluzioni inefficaci, distogliendo così l’attenzione da misure più sostanziali ed efficienti. Un primo esempio è l’ottimismo tecnologico, che sostiene che il progresso tecnologico porterà rapidamente a una riduzione delle emissioni in futuro.

Questo discorso ha molte varianti, dall’esaltare i recenti progressi nella diffusione delle energie rinnovabili alla promozione di “miti tecnologici” che non si manifestano nei tempi promessi (ad esempio, energia da fusione nucleare), fino a suggerimenti ancora più vaghi secondo cui “l’ingegno umano è infinito”. Questo ottimismo e questa fede possono essere giustificati in alcuni casi, ma questo discorso è spesso accompagnato da affermazioni senza alcun riscontro: ad esempio, che la rapida diffusione delle energie rinnovabili rende superflue possibili misure di riduzione della domanda. In questo contesto ritroviamo anche l’affermazione che i combustibili fossili sono “parte della soluzione al cambiamento climatico”, discorso a favore delle industrie contro la regolamentazione.

Un’altra strategia chiave è quella di stabilire obiettivi facilmente raggiungibili, in modo che un Paese o un’industria possano dichiarare la propria leadership nella lotta al cambiamento climatico. D’altra parte, la definizione di obiettivi ambiziosi a lungo termine può soddisfare le richieste interne di politica climatica, ma senza degli strumenti concreti non è garantito che questi obiettivi si trasformino in realtà.

Parlare degli svantaggi

La terza argomentazione enfatizza gli aspetti negativi dell’azione climatica: agire per arginare la situazione potrebbe comportare un onere maggiore per la società rispetto alle conseguenze dell’inazione. L’appello alla giustizia sociale porta gli impatti di una transizione energetica in primo piano nelle discussioni politiche, inquadrandola come onerosa e costosa per la società:

Non possiamo permettere che la protezione del clima metta a repentaglio la prosperità e i posti di lavoro

Ministro tedesco dell’Economia e dell’Energia, Peter Altmaier

Le politiche climatiche possono anche essere falsamente inquadrate come regressive. Per esempio, è stato affermato che una tassa sull’aviazione

Colpirebbe le famiglie che lavorano duramente impedendogli di andare all’estero

Ministro del Tesoro britannico, Robert Jenrick

nonostante si tratti di una delle più progressive tra le potenziali tasse verdi sui consumi.

Enfatizzare gli aspetti negativi dell’azione per il clima in questi modi, distoglie l’attenzione dai danni che queste soluzioni evitano, negando o ignorando il potenziale per costruire delle politiche inclusive che portino benefici alla società.

Arrendersi al negazionismo climatico?

Infine, l’ultima argomentazione solleva il dubbio che la mitigazione sia ancora possibile, etichettando le sfide politiche o sociali come apparentemente insormontabili. È un discorso che reifica lo stato attuale delle cose e nega la capacità delle società di organizzare grandi trasformazioni socioeconomiche. Il doomismo sostiene inoltre che qualsiasi azione intrapresa è troppo poco e troppo tardi. Questi discorsi evocano paura e possono portare a uno stato paralizzante di shock e rassegnazione, suggerendo come unica risposta l’adattamento.

Conclusioni

I discorsi che sono stati identificati possono essere convincenti. Si basano su preoccupazioni e paure legittime nell’affrontare il cambiamento climatico. La complessità dei discorsi sul ritardo di azione non deve quindi essere sottovalutata e nuove strategie si sviluppano continuamente.

Esempi di negazionismo climatico li vediamo anche nella politica italiana:

Vanno rivisti gli obiettivi dell’Europa sul clima per aiutare i settori in crisi

Il fondamentalismo climatico ci porterà a perdere migliaia di aziende e milioni di posti di lavoro in Europa

Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni

Esempi di negazionismo nella politica italiana:

Da quando hanno lanciato l’allarme climatico è venuto un freddo…

Vicepresidente del Consiglio italiano, Matteo Salvini

Il riscaldamento globale avanza: neve ad Aprile anche in Sardegna

Senatore Fratelli D’Italia, Lucio Malan

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