La risposta è “si, ma procedere con cautela”. Quando si leggono slogan del tipo “produzione ad emissioni zero” o “100% rinnovabili” la prima cosa da assicurarsi è che siano veritieri, non perché le aziende vogliano mentirci ma perché ultimamente sta prendendo piede un fenomeno insidioso: il greenwashing.
È una strategia di comunicazione di imprese o organizzazioni che trasmettono ed enfatizzano impegni sulle politiche ambientali che non sono del tutto autentici. Più le persone prendono coscienza della questione climatica e più questo fenomeno dilaga. Le aziende cercano di migliorare la propria immagine per avvicinarsi ad una clientela sempre più attenta a queste tematiche.
Ci sono svariati modi di fare greenwashing: rinnovare i loghi delle società rendendoli verdi e ricchi di foglie e soli raggianti, sottolineare pratiche sostenibili ma in modo talmente generico da perdere di significato, mettere in primo piano roboanti slogan virtuosi omettendo dei dettagli più oscuri o anche inventarsi certificazioni ed etichette farlocche. Per non cadere in trappola è fondamentale indagare sulle fonti delle informazioni e ragionare con mente critica su tutto ciò che ci viene proposto.
Non bisogna mai abbassare la guardia: non è tutto oro ciò che è verde.
I certificati verdi
Una volta appurata la verità, è necessario capire come nei fatti un’azienda può essere per davvero 100% rinnovabili? A meno che non si auto produca tutto il proprio fabbisogno energetico in autonomia con parchi rinnovabili (una situazione non molto frequente perché essendo le aziende delle realtà molto energivore sarebbero necessari grandi spazi), l’energia elettrica viene prelevata dalla rete nazionale. In questo modo non è possibile risalire alla modalità di produzione di quell’energia: come acquistando un brick di latte non si può risalire a quale mucca abbia prodotto ogni singola goccia, così prendendo l’elettricità dalla rete non si può sapere da quale impianto sia stato prodotto ogni kWh. L’elettricità è esattamente la stessa indipendentemente che sia stata generata da una centrale a gas o da un parco eolico: il dilemma è ancora irrisolto.
Per venirne a capo bisogna parlare del concetto di certificati verdi. Di pari passo con la vendita di energia alla rete nazionale, un impianto rinnovabile vende anche degli attestati che dichiarano quanti kWh da fonte rinnovabile sono stati prodotti ed iniettati in rete. Si chiamano certificati verdi ed entrano in un mercato parallelo a quello dell’energia elettrica. Dal lato opposto della catena, un utente che vuole essere 100% rinnovabili deve acquistare sia l’elettricità dalla rete sia un numero di certificati verdi pari alla quantità di energia che ha prelevato: in questo modo tutta l’elettricità che ha comperato è certificata come rinnovabile.
Si può essere 100% rinnovabili?
L’idea dietro questo meccanismo è molto virtuosa e offre grandi opportunità di incentivazione della transizione energetica. Essendo però stato introdotto da poco tempo non è ancora molto efficace per motivi prettamente economici. Il prezzo dei certificati verdi è ad oggi ancora troppo basso per stimolare il mercato e inoltre i criteri che stabiliscono se una produzione energetica possa accedere ai certificati non sono ancora ottimali.
Riguardo quest’ultimo punto, il limite impone di stare al di sotto di una soglia di emissione di CO2 molto bassa, ma la limitazione non tiene conto, ad esempio, dell’inquinamento generato dal trasporto delle materie prime. Per tagliare i costi si possono far importare merci con lunghi tragitti in autoarticolato o in nave transoceanica e comunque intascare la remunerazione del certificato.
Finché gli imprenditori guarderanno prevalentemente al proprio portafoglio invece che al futuro del nostro pianeta, sarà molto difficile che le cose cambino per davvero. Vi lasciamo uno spunto di riflessione di Kenneth Boulding, economista, pacifista e poeta inglese del Novecento:
Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista…
Kenneth Boulding
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