Impianto Idroelettrico: funzionamento generale e turbina Pelton

La forza dell’acqua è stata tra le prime che l’uomo ha imparato a sfruttare, fin dall’antichità, dapprima per ricavarne potenza meccanica e poi anche potenza elettrica. L’impianto idroelettrico ha cambiato i nostri destini sin dagli albori della rivoluzione industriale, semplicemente riconvertendo la consolidata tecnologia idraulica dei mulini ad acqua.

Cosa produce un impianto idroelettrico?

Una massa d’acqua posta in quota possiede una certa energia potenziale. Quando cade verso il basso trasforma l’energia potenziale in energia cinetica aumentando la sua velocità (basta pensare alla forza dirompente delle grandi cascate naturali per comprendere la mole di energia in gioco). Se al fondo del salto di quota, il punto in cui idealmente tutta l’energia potenziale è stata convertita in energia cinetica, si pone un macchinario in grado di convertire l’energia cinetica in elettricità il nostro scopo è stato raggiunto.

I componenti principali di un impianto idroelettrico sono:

  • il serbatoio, il luogo in cui l’acqua si accumula in quota sbarrata da una diga;
  • la condotta forzata, dove l’acqua acquista velocità scendendo verso valle;
  • la turbina, in grado di mettersi in rotazione al passaggio dell’acqua;
  • il generatore, responsabile di convertire la rotazione della turbina in energia elettrica.
Figura 1: schema di funzionamento di un impianto idroelettrico (fonte: Educazione tecnica)

Come trasforma un impianto idroelettrico?

Il componente chiave, in cui sono concentrati centinaia di anni di studio per migliorarne la performance idraulica, è la turbina. Ce ne sono moltissime tipologie, dalla forma e dal funzionamento più disparati; dunque per sceglierla al meglio si tengono in considerazione due parametri del corso d’acqua: la portata e il salto di quota.

Per piccoli salti e portate molto grandi la tipologia più usata è la turbina Kaplan, dalla forma molto simile alla eliche delle barche. In situazioni intermedie, sia come portata che come salto, si usa la turbina Francis, la più usata in tutto il mondo. Per salti molto alti e piccole portate la turbina più adatta è quella Pelton, che ricalca la forma dei tradizionali mulini ad acqua.

Vogliamo ora raccontare un po’ più nel dettaglio l’intrigante funzionamento di quest’ultima tipologia, che affonda le proprie radici nella millenaria tecnologia dei mulini rilanciandola nel mondo contemporaneo.

Figura 2: le tre tipologie più comuni di turbine idroelettriche (fonte: Sied Chile S.A.)

All’interno di una Pelton

Le turbine Pelton sono i giganti gentili dell’idraulica. Possono raggiungere dimensioni sbalorditive e si trovano spesso negli impianti situati in montagna, come quelli che costellano l’arco alpino. Fanno parte della famiglia delle turbine ad azione, ossia non sono pressurizzate ma lavorano a pressione ambiente: teoricamente è possibile aprire la cassa e osservare la turbina durante il suo funzionamento, ma attenzione agli schizzi!

L’acqua viene inviata alla girante (un altro nome per la turbina) sottoforma di getto e raggiunge le palette della ruota dalla caratteristica forma a doppio cucchiaio, unica nel suo genere. Il getto viene diviso in due parti uguali dalla affilatissima lama centrale e ciascuna porzione percorre il ventre di uno dei due cucchiai. L’energia dell’acqua fa variare il momento angolare della girante, generando una coppia che la mette in rotazione. L’acqua rallentata cade sul fondo della macchina ed esce, pronta per ricongiungersi al fiume da cui è stata presa in prestito.

Per capire al meglio il funzionamento, basta pensare a che cosa succede quando mentre si lavano i piatti si mette un cucchiaio direttamente sotto al getto del rubinetto: oltre a creare innumerevoli schizzi si sente una forza spingere il cucchiaio verso il basso, che è del tutto analoga a quella che mette in moto la turbina Pelton.

Figura 3: funzionamento della turbina Pelton, con zoom sulle particolari palette (fonte: Digimparo)

Una domanda sorge spontanea… perché due cucchiai?

Il motivo dietro questa scelta è quello di bilanciare le forze laterali, per ridurre gli attriti della turbina stressando meno i cuscinetti. Inoltre, se si guarda attentamente l’immagine Figura 3 si vede che i cucchiai non sono completi ma verso il basso presentano un foro dalla doppia gobba. Se questa apertura non ci fosse, alla fine del percorso l’acqua verrebbe spinta fuori seguendo la curvatura del cucchiaio e andando a sbattere contro il retro della paletta successiva, rallentando la rotazione della ruota. Introdurre il foro evita questo inconveniente, smussando la transizione tra una paletta e la successiva.

Quanta tecnologia si nasconde dietro un semplice dislivello d’acqua!

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Avatar Ilaria Giaccardo