I colori dell’idrogeno

Sotto sotto, anche gli ingegneri hanno un animo creativo. Uno dei rari momenti in cui è venuto fuori è stato quando è stata stilata la classificazione dei vari processi produttivi dell’idrogeno. Invece di usare una sfilza di acronimi complessi o termini anglofoni altisonanti, si è deciso di assegnare ad ognuna di esse dei colori. Per questo motivo si sente spesso parlare di idrogeno verde, blu, marrone… anche se il gas è in realtà incolore! 

Idrogeno marrone…

Iniziamo a vedere insieme i colori associati ai processi produttivi più inquinanti. L’idrogeno marrone è quello che deriva dalla gassificazione del carbone. Ma come è possibile passare da un combustibile solido a uno gassoso? Impedendogli di fare l’unica cosa che sa fare bene: bruciare.

La gassificazione consiste nel portare il solido ad alte temperature (anche superiori ad 800°) ma senza fornirgli un quantitativo adeguato di aria, e quindi di ossigeno, per fare una combustione completa. In questo modo la temperatura degrada il carbone spezzando i legami delle sue molecole, liberando composti gassosi. Non essendo però avvenuta la reazione per carenza di ossigeno, questi non sono i soliti prodotti di combustione, vapor d’acqua e anidride carbonica (CO2), ma dei combustibili a loro volta, in particolare idrogeno e monossido di carbonio. Quest’ultimo viene poi fatto reagire per produrre altro idrogeno e CO2 e il processo è terminato. Inutile sottolineare il mastodontico inquinamento associato a questa tecnica di produzione…

…e grigio: the dark side of the moon

L’idrogeno grigio viene prodotto a partire dal gas naturale, tramite una reazione chiamata steam reforming. Utilizzare questo gas per produrre idrogeno è un passo logico che viene abbastanza spontaneo guardando la formula chimica del metano: CH4. Infatti, è l’idrocarburo con il più alto contenuto di idrogeno per atomo di carbonio: 4 a 1. Per di più è già in fase gassosa, quindi il processo è molto più semplice di quello a partire dal carbone. Il processo di steam reforming prevede di far reagire il metano con acqua seguendo questa reazione:

\[\ CH_{4} + H_{2}O \rightarrow 3H_{2} + CO \]

Il monossido di carbonio viene poi fatto ulteriormente reagire in questo modo (che è anche lo stesso che subisce il CO generato durante il processo dell’idrogeno marrone):

\[\ CO + H_{2}O \rightarrow CO_{2} + H_{2} \]

Quindi, contando sia la prima che la seconda reazione, con una sola molecola di metano si possono produrre ben quattro molecole di idrogeno! Siamo ormai diventati dei maestri a gestire questo processo, arrivando ad efficienze dell’80% che lo rendono anche estremamente competitivo sul mercato. Ecco perché la maggior parte dell’idrogeno utilizzato ad oggi viene prodotto in questo modo. Peccato che emetta CO2: questo piccolo dettaglio non è assolutamente tollerabile. Per ottenere dunque un futuro sostenibile, dovremo dire addio alla produzione di idrogeno tramite metano, accantonando un secolo di esperienza maturata in settore industriale? Non così in fretta.

Salvare capra e cavoli: colori turchese e blu

Ci sono altre tecniche, associate ad altrettanti colori, che guardano il problema da un altro punto di vista, cercando di utilizzare sempre il metano ma senza emettere CO2 nel processo. L’idrogeno turchese sfrutta il processo di pirolisi. È l’estremizzazione della gassificazione: un riscaldamento in totale assenza di ossigeno e per tempi brevissimi permette di rompere i legami all’interno della molecola di metano.

Così facendo dunque si separano i suoi componenti elementari: idrogeno gassoso e carbonio solido. Questo metodo si difende davanti alla giuria della sostenibilità affermando di non produrre alcuna anidride carbonica in maniera diretta. Di per sé questa affermazione non è scorretta, ma non serve un eccellente avvocato per svelare la verità: la CO2 è nascosta nel ciclo di vita degli elementi coinvolti, dal metano in ingresso al carbonio in uscita. Il giudice dichiara l’imputato colpevole.

L’idrogeno turchese non è l’unico che cerca di aggirare la legge. Esiste anche l’idrogeno blu, che viene prodotto allo stesso modo di quello grigio ma catturando la CO2 generata prima di essere immessa in atmosfera. Sebbene questa possa sembrare una valida soluzione nel breve termine, basta proiettarsi qualche anno nel futuro per farla vacillare. Infatti il problema non è stato affatto risolto, si è solo spostato: che cosa ce ne facciamo di tutta questa CO2 catturata? Da qui si potrebbe aprire un vastissimo dibattito sulla carbon capture, che riserviamo a futuri articoli per rendergli giustizia. Per quanti stratagemmi si possano inventare, alla fine i nodi vengono sempre al pettine. 

Figura 1: emissioni di gas serra dell’idrogeno grigio e blu comparate con quelle dei combustibili fossili… siamo ben lontani dalla sostenibilità! (fonte: Earth.org)

E quindi uscimmo a riveder le stelle: Idrogeno verde, rosa e giallo

Per fortuna questi non sono gli unici colori che abbiamo a disposizione. L’ultimo arrivato in famiglia è l’idrogeno bianco, che non viene prodotto ma bensì estratto. Infatti, si sono da poco scoperti dei giacimenti di idrogeno naturale in vari punti del pianeta. Data la potenziale rivoluzione che questa scoperta può portare, merita di essere trattata ampiamente in un futuro articolo dedicato. Tornando agli idrogeni derivanti da processi produttivi, ce ne sono ben altri tre: il verde, il giallo e il rosa. Sono tutti associati allo stesso metodo di produzione: come è possibile? Stiamo parlando dell’elettrolisi, il processo per cui tramite l’ausilio di energia elettrica si scinde l’acqua nelle sue due componenti elementari, idrogeno ed ossigeno, in questo modo:

\[\ 2H_{2}O \rightarrow 2H_{2} + O_{2} \]

Questo sì che è un processo sostenibile: nessuna molecola di CO2 in vista! Ma è veramente così? Anche qui si cela un trucchetto. Se l’energia elettrica utilizzata per mandare avanti la reazione deriva da centrali a fonte fossile, la CO2 è stata generata durante la produzione di questa energia e quindi il processo è solo a primo impatto ad emissioni zero. È lo stesso discorso della fast fashion: mettere in mercato moltissimi capi di abbigliamento a basso prezzo sembra un ottimo modo affinché tutti possano permettersi di comprare nuovi vestiti, ma se si guarda lo sfruttamento e le condizioni disumane a cui sono sottoposte le persone che hanno prodotto quei capi la facciata di sostenibilità crolla con fragore. Ecco perché è sempre fondamentale essere trasparenti sulla provenienza, sia dei vestiti che dell’energia elettrica.

Conclusione

È proprio per questo motivo che l’idrogeno prodotto per elettrolisi è associato a tre colori diversi. Se l’energia elettrica utilizzata deriva esclusivamente da fonti rinnovabili, l’idrogeno è definito verde. Se l’origine è una centrale nucleare, prende il nome di rosa (o a volte si trova anche scritto idrogeno viola, ma è esattamente la stessa cosa) mentre se deriva dalla rete elettrica nazionale, l’idrogeno è di colore giallo. Quest’ultima definizione è estremamente pericolosa, poiché è impossibile discernere le varie origini dell’elettricità una volta che viene tutta raccolta nella rete elettrica. Lo stesso idrogeno giallo può essere prodotto in una nazione che si alimenta principalmente ad idroelettrico o a centrali a carbone e il suo colore non cambierebbe affatto. Diffidate sempre delle diciture vaghe e non abbiate mai paura di arrivare alla sorgente delle cose: solo così il mondo può diventare un posto migliore, un colore alla volta. 

Figura 2: riepilogo della variegata scala cromatica dell’idrogeno (fonte: Elettrico Magazine)

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Avatar Ilaria Giaccardo