Dall’idrogeno all’energia elettrica: tecnologia delle fuel cell

Spesso si sentono millantare le grandi opportunità che l’idrogeno offre come alleato nella transizione energetica e ne abbiamo anche ampiamente parlato nell’articolo “Idrogeno: supereroe o condanna? Facciamo chiarezza”. Molto meno spesso invece si prova a capire come all’atto pratico tutte queste promesse possano realizzarsi, come se questo gas fosse un essere fantascientifico con poteri soprannaturali… ma non è affatto così! Ad esempio, come si fa a passare dall’idrogeno ad energia elettrica? Tramite uno strumento chiamato fuel cell: scopriamo insieme il suo affascinante funzionamento!

Le batterie

Le fuel cell fanno parte di una grande famiglia di dispositivi, le celle elettrochimiche. Queste sono degli strumenti che, mettendo in atto delle reazioni chimiche, trasformano l’energia chimica delle molecole in energia elettrica. In questa grande famiglia rientrano anche le batterie, che grazie alle loro somiglianze possiamo vedere come i cugini delle fuel cell. Infatti, entrambi i dispositivi attuano questa trasformazione. Ciò che li differenzia è il modo in cui gli elementi chimici necessari al loro funzionamento (i reagenti della reazione) vengono messi a disposizione. 

Nelle batterie, tutti i reagenti sono già all’interno della batteria stessa: non hanno bisogno di fare il pieno come un’automobile! È quello che in termodinamica si indica con sistema chiuso, ovvero che non attua scambi di massa con l’ambiente ma solo di energia, ossia l’energia elettrica che ci fornisce. Vi è mai capitato di usare una batteria molto vecchia e di accorgevi che perde del liquido? Questo è uno scambio di massa, ma in condizioni normali non dovrebbe mai accadere! Se succede, vuol dire che qualcosa è andato storto ed è giunta l’ora di prendere una batteria nuova.

Fuel cell, i cugini delle batterie

Nelle fuel cell invece, i reagenti non sono già presenti ma vanno forniti dall’esterno. Quindi, affinché funzioni c’è bisogno di un costante approvvigionamento di gas, allo stesso modo in cui un elettrodomestico ha bisogno di essere sempre attaccato alla presa per funzionare. Al contrario della batteria, la fuel cell è un sistema aperto, ossia che scambia sia massa che energia con l’ambiente. Il combustibile che inviamo determina la durata del suo funzionamente. Teoricamente se la fornitura non viene mai interrotta la fuel cell può lavorare all’infinito!

Figura 1: mentre gli attacchi di una batteria (sinistra) sono solo i due contatti elettrici, la fuel cell (destra) ha bisogno sia dei contatti elettrici sia degli ingressi dei gas per funzionare (fonte: LibreTexts Chemistry).

Per capire che cosa succede all’interno della fuel cell partiamo analizzando perché si chiamino così. In italiano fuel cell si traduce come celle a combustibile. Dove c’è un combustibile, c’è una combustione… quindi la fuel cell brucia l’idrogeno per funzionare? Non esattamente. La reazione complessivamente messa in atto è proprio quella della combustione, ma non viene fatta avvenire così com’è: viene suddivisa in sotto reazioni, collegate tra loro tramite scambi di particelle cariche. Immagino che detto così non sia per nulla chiaro… facciamo l’esempio dell’idrogeno per schiarirci le idee! La reazione di combustione dell’idrogeno è la seguente:

\[\ 2H_{2} + O_{2} \rightarrow 2H_{2}O \]

Mettiamo a fuoco il funzionamento delle fuel cell

Avviene quando l’idrogeno viene messo a contatto con l’ossigeno e rilascia grandi quantità di energia sotto forma di calore (la fiamma per intenderci). Se invece di ottenere calore vogliamo elettricità, un tipo di energia più pregiato perché trasportabile ed utilizzabile in svariati modi, dobbiamo impedire che idrogeno ed ossigeno vengano a contatto. Quindi li facciamo entrare dai lati opposti della fuel cell, chiamati elettrodi, e in mezzo mettiamo una barriera impermeabile, l’elettrolita.

Negli elettrodi avvengono separatamente i due step della combustione, che non è nient’altro che una reazione di ossidoriduzione, ossia una trasformazione in cui gli atomi cambiano il numero di elettroni, che passano da una specie chimica all’altra. Se l’elettrone viene perso si ha una reazione di ossidazione e l’elettrodo che la ospita si chiama anodo. Se l’elettrone viene guadagnato si ha invece una reazione di riduzione e l’elettrodo corrispondente si chiama catodo. Tornando alla nostra reazione di prima, l’idrogeno entra nell’anodo e si ossida in questo modo:

\[\ H_{2} \rightarrow 2H^{+} + 2e^{-} \]

La molecola di idrogeno viene scissa nelle sue cariche fondamentali: elettroni (e-) e protoni (H+, detti anche ioni). Le cariche si spostano da un elettrodo all’altro, andando nel catodo per permettere all’ossigeno di compiere la reazione di riduzione come segue: 

\[\ \frac{1}{2} O_{2} + 2H^{+} + 2e^{-} \rightarrow H_{2}O \]

Qui le cariche si ricombinano ed insieme all’ossigeno formano una molecola d’acqua. Se sommate le due sotto reazioni si ottiene l’equazione di combustione originale.

Figura 2: schemino per comprendere meglio le sotto reazioni in gioco… a volte un’immagine vale più di mille parole! (fonte: American History)

Diverse reazioni, stesso scopo

Abbiamo parlato tanto ma non abbiamo ancora spiegato da dove salti fuori la corrente. Non perdete la pazienza: ci siamo quasi! Il trucco sta nel trasporto delle cariche da anodo a catodo. Se si muovessero tutte insieme tenderebbero spontaneamente a ricombinarsi, visto che cariche negative e positive sono naturalmente attratte tra loro. Ecco perché seguono percorsi separati: gli ioni positivi (gli H+) si spostano tramite l’elettrolita (che non è un muro solo per idrogeno ed ossigeno ma anche per gli elettroni: solo agli ioni è concesso il passaggio), mentre gli elettroni si muovono in un circuito elettrico esterno. Cariche elettriche in moto in un circuito… è proprio una corrente elettrica! Ecco spiegato come passare da idrogeno ad elettricità producendo come scarto solamente acqua. 

Non esiste un solo modo di portare avanti la reazione. Infatti, esistono varie tecnologie che sfruttano lo stesso principio, ma scindendo la combustione in sotto reazioni differenti. Il processo che abbiamo visto prima è tipico delle Proton Exchange Membrane, meglio conosciute con la sigla PEM. Sono celle che lavorano a bassa temperatura e sono le più adatte ad essere integrate nei trasporti del futuro: ogni qual volta avete sentito parlare di futuristici aerei ad idrogeno erano loro le protagoniste.

L’altra tipologia di fuel cell più diffusa è la Solid Oxide Fuel Cell (SOFC). Queste celle lavorano ad alta temperatura, dunque si prestano meglio a restare con i piedi per terra in applicazioni stazionarie. Le sotto reazioni sono diverse perché gli ioni in gioco sono diversi: oltre agli immancabili elettroni non circolano ioni positivi ma negativi, in particolare ioni ossigeno O2-. Trasportando ioni differenti, anche il materiale che compone l’elettrolita è differente. Ecco le semi reazioni:

ANODO:

\[\ H_{2} + O^{-}_{2} \rightarrow H_{2}O + 2e^{-} \]

CATODO:

\[\ \frac{1}{2} O_{2} + 2e^{-} \rightarrow O^{-}_{2} \]

Figura 3: schema di funzionamento di una Solid Oxide Fuel Cell (fonte: American History)

Conclusione

Anche in questo caso la reazione totale è la combustione dell’idrogeno, perché come dice la proprietà commutativa dell’addizione: “cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia”! Tutto quanto vi abbiamo raccontato non è nient’altro che la punta dell’iceberg del mondo delle fuel cell, macchine tanto complesse quanto intriganti. Se vi abbiamo affascinato, ora sta a voi esplorare a fondo le meraviglie che hanno da offrire. Se invece ritenete che sia un argomento troppo complesso, o se addirittura vi abbiamo annoiato, l’importante è che ora possediate le basi per navigare meglio tra la tempesta di notizie a tema idrogeno. In entrambi i casi, vi auguriamo buon viaggio.

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Avatar Ilaria Giaccardo