Chernobyl: il più grave incidente nucleare avvenuto nella storia

Spesso quando si pensa ad un incidente nucleare la nostra mente associa immediatamente tale argomento a Chernobyl, accostandolo ad uno scenario di angoscia e distruzione. L’immagine di copertina che abbiamo scelto sembra stridere con questo concetto, ma vi dimostreremo che non è affatto così.

Oggi Pripyat è una città fantasma abitata da animali e invasa dalla vegetazione, ma nel 1986 ospitava i lavoratori e i costruttori della vicina centrale nucleare di Chernobyl. L’inaugurazione del parco divertimenti di Pripyat (di cui la famosa ruota panoramica ne era il gioiello) era prevista per il 1° maggio 1986, ma tale apertura non si verificò mai. Il 26 aprile del 1986 Chernobyl divenne il luogo in cui si consumò uno dei più gravi incidenti nucleari avvenuti nella storia. Insieme a Fukushima Dai-ichi, la catastrofe di Chernobyl è stata classificata al settimo livello nella scala INES (International Nuclear Event Scale).

Per chi non conosce questa scala, vi basterà sapere che il settimo livello è proprio il più pericoloso, quello di maggiore gravità. Le immagini scattate a Pripyat a seguito dell’incidente sono tra le più suggestive. È come se la vita si sia disperatamente attaccata alle crepe della cittadina spettrale, restando sospesa per aria, imperturbata dallo scorrere delle stagioni. Ne sono prova le giostre che aspettano ancora il loro primo cliente o le bambole che attendono pazienti il ritorno del bambino o bambina a cui appartenevano. Andiamo per ordine, dove ci troviamo e cosa successe?

Il reattore RBMK

Il Chernobyl Power Complex, situato a circa 130 km da Kiev, era costituito da quattro reattori nucleari del progetto RBMK-1000. RBMK, acronimo di “reattore di alta potenza a canali”, è un particolare reattore refrigerato con acqua bollente e moderato (Three Mile Island) a grafite

Il combustibile utilizzato è ossido di Uranio leggermente arricchito. Una serie di pastigliette cilindriche di combustibile (di dimensioni molto ridotte: circa 1 cm in altezza e lunghezza) sono incolonnate a formare una barra che a sua volta è contenuta all’interno di un tubo in Zircaloy.

Figura 1: Pellet di combustibile fresco (fonte: Nuclear Regulatory Commission)

Ciascun gruppo di combustibile è posizionato nel proprio canale di pressione verticale. Una delle particolarità di questo reattore è che, isolando i canali, è possibile procedere con il rifornimento del combustibile mantenendo il reattore ancora in funzione! Scontato sottolineare che ciò porta ad un ovvio risparmio di denaro… Ritornando al nostro reattore, i tubi sono circondati da una serie di blocchi in grafite i quali, agendo da moderatore, rallentano i neutroni rilasciati dal processo di fissione. Uno dei protagonisti del reattore RBMK (e del disastro avvenuto a Chernobyl) sono le barre di controllo. Esse sono in grado di assorbire i neutroni controllando in questo modo la velocità di fissione.

Tali barre, fatte in Boro, sono inserite dall’alto verso il basso e forniscono un controllo automatico, manuale o di emergenza. Se è presente una anomalia rispetto ai normali parametri di funzionamento, le barre sono lasciate cadere per gravità nel nocciolo per ridurre o arrestare l’attività del reattore. Sollevando e abbassando le barre a diverse altezze è possibile decidere la quantità di calore in uscita dal reattore e dunque la potenza prodotta. Per motivi di sicurezza un certo numero di barre di controllo deve sempre rimane inserito all’interno del nucleo (tenete a mente questo dettaglio!).

Così come per i reattori PWR (che è la tipologia di reattore presente all’interno della centrale di Three Mile Island) anche nei reattori RBMK l’acqua svolge un ruolo chiave. Essa scorre all’interno di due circuiti di raffreddamento dotati di pompe. La circolazione dell’acqua attraverso i tubi di pressione ha lo scopo di rimuovere la maggior parte del calore sprigionato dalla reazione di fissione, generando vapore. Sono inoltre presenti i separatori di vapore che, come si intuisce dallo stesso nome, separano il vapore prodotto nel refrigerante e lo spediscono alla turbina per la produzione di elettricità. Il vapore viene in seguito condensato e reimmesso in circolo. 

Figura 2: Schema di un reattore RBMK (fonte: Nuclear Energy Institute)

I reattori RBMK presentavano diverse criticità, una tra queste il coefficiente di vuoto. Esso è un parametro che rappresenta il rapporto tra la quantità di vapore e l’acqua. La presenza di bolle di vapore (o “vuoti”) nel refrigerante implica il cambiamento della reattività nel nucleo. Il coefficiente di vuoto negativo si tradurrà in una diminuzione della reattività, mentre quello positivo in un suo aumento. L’impianto di Chernobyl era caratterizzato proprio dalla positività di tale coefficiente. Altra criticità dei reattori RBMK è il materiale utilizzato per la costruzione delle barre di controllo.

Come già detto, il materiale impiegato è il Boro, ma non solo. La punta delle barre di controllo era fatta di grafite per risparmio economico. Essa è in grado di accelerare la reazione di fissione e di conseguenza anche la potenza, insomma, tutto ciò che una barra di controllo non dovrebbe assolutamente fare. Dunque, dato che le barre di controllo (necessarie per regolare ed eventualmente spegnere il reattore) scorrono dall’alto verso il basso, il primo materiale che i neutroni incontrano è la grafite, con un conseguente aumento di potenza, che può essere ridotta solo in un secondo momento con l’ingresso del Boro.

L’incidente

A differenza del disastro avvenuto a Three Mile Island e di Fukushima Dai-ichi , quello di Chernobyl è stato il risultato di un test di sicurezza andato decisamente male. Gli operatori si erano resi conto che, qualora ci fosse stato un blackout, i generatori di emergenza avrebbero impiegato un intero minuto prima della loro attivazione. Quando si trattano argomenti come il nucleare una manciata di secondi possono fare la differenza. Infatti, in quell’infinito minuto si sarebbe creato troppo calore non controllato e ciò era fin troppo rischioso per l’incolumità del reattore.

L’idea che stava alla base del test di sicurezza di quella fatidica notte è lo sfruttamento della spinta residua delle turbine per attivare le pompe di circolazione dell’acqua di raffreddamento fino all’attivazione dei generatori di sicurezza Diesel. Come in una torre di Babele contemporanea, il test fu eseguito senza uno scambio adeguato di informazioni tra il team incaricato del suo svolgimento e il personale addetto alla sicurezza. Il 25 aprile 1986 il reattore sarebbe dovuto essere spento per manutenzione, proprio per questo si era deciso di effettuare il test durante il turno diurno di tale giornata. L’arresto del reattore fu però interrotto a causa di una necessità elettrica.

Gli operatori, dunque, mantennero il reattore al 50% della sua potenza (ovvero a 500 MW) per l’intera giornata del 25 aprile. Il test fu, di conseguenza, posticipato ed assegnato agli addetti del turno notturno, i quali non erano preparati per affrontare tale procedura. Alle 23:00 si continuò il test, facendo diminuire ulteriormente la potenza in uscita dal reattore. A 00:00 venne impostato il controllo automatico, stabilizzando il reattore al 22% della sua potenza.

È doveroso puntualizzare che il reattore avrebbe dovuto essere stabilizzato intorno ai 700 MWt (dove la “t” in MWt sta per “termico”), ma alle 00:28 del 26 aprile si è registrata una potenza di 30 MWt. Ciò era dovuto al fatto che nel reattore si stava consumando un evento inaspettato: l’avvelenamento da Xeno. Lo Xeno-135 è un veleno neutronico, esso si produce all’interno dei reattori a seguito del decadimento dello Iodio-135. La quantità di questo potente assorbitore di neutroni, lo Xeno-135, dipende molto dal flusso di neutroni e, dunque, dalla variazione di potenza del reattore. 

Figura 2: Perdita di reattività dovuto all’aumento transitorio della concentrazione di Xeno quando un reattore viene spento (fonte: Сам нарисовал)

Un’azione che comporta conseguenze molto gravi è la ripartenza del reattore nel momento di “picco Xeno”. In figura 2 è ben visibile che subito dopo tale picco deriva una diminuzione della concentrazione di Xeno-135 (curva blu), mentre si riscontra un aumento della reattività (curva rossa). L’aumento di potenza in condizioni delicate quali quelle del momento di picco Xeno deve essere sufficientemente lento, altrimenti il reattore potrebbe divergere dando luogo ad una reazione a catena sovracritica (fissione nucleare). Il passaggio improvviso a una bassa velocità può portare al soffocamento del reattore, mentre il passaggio brusco all’alta velocità può avere conseguenze catastrofiche.

Torniamo alla notte dell’incidente, ora è chiaro che il reattore di Chernobyl è stato soggetto a un soffocamento della reazione nucleare a seguito della diminuzione di potenza. Ma, dovendo effettuare quel fatidico test di sicurezza, gli operatori avevano bisogno di un aumento di potenza. Decisero di alzare le barre di controllo oltre il limite autorizzato, non sapendo che il reattore, nel frattempo, si era avvelenato da Xeno a causa della repentina diminuzione di potenza. Come già detto, una regola base dei reattori nucleari è quella di non riavviare un reattore in tali condizioni per via della sensibile relazione presente tra la concentrazione di Xeno e la reattività. La quasi assenza di barre di controllo inserite comportò la formazione di bolle di vapore e un aumento di pressione all’interno del reattore.

Il reattore ora era in una condizione critica. Gli operatori erano ignari di ciò che stesse accadendo e cominciarono il test di sicurezza. Furono disattivati il sistema di controllo automatico e il sistema di raffreddamento di emergenza. All’1:22:30 erano inserite solo 8 barre di controllo mentre il minimo consentito era di 15. Il test è cominciato ufficialmente all’1:23:04. Ma all’1:23:40, dopo soli 36 secondi dall’inizio del test qualcuno premette il pulsante AZ-5 (Rapid Emergency Defense 5) avviando la sequenza di SCRAM. Tale decisione fu probabilmente la conseguenza dei valori anomali che gli operatori riscontravano.

Il pulsante in questione serve per l’arresto di emergenza del reattore attraverso l’inserimento di tutte le barre di controllo all’interno del nucleo. Gli alti livelli di temperatura e le già citate condizioni instabili del reattore deformarono totalmente i canali in cui scorrevano le barre di controllo. Quando tali barre hanno cominciato la discesa il primo materiale che i neutroni incontrarono non fu il Boro ma la famosa punta in grafite. Tra le barre di controllo bloccate a metà tragitto e la presenza iniziale di grafite, il nucleo ha cominciato a produrre 10 volte la potenza nominale, raggiungendo 30 GW (per intenderci, è una cifra a 9 zeri!) di potenza.

A causa dell’accumulo di vapore acqueo e l’aumento di pressione si verificò un’esplosione che fece saltare il tappo di 1000 tonnellate (l’equivalente di 200 elefanti!) che chiudeva il reattore. Pochi secondi dopo la prima esplosione, ce ne fù una seconda, probabilmente dovuta all’accumulo di Idrogeno che si era creato a seguito della reazione chimica tra Zircaloy e vapore acqueo. Tutto ciò causò la fuoriuscita di una grande quantità di materiale radioattivo.

Figura 3: Reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl, aprile 1986 (fonte: eu.usatoday.com, photograph: AP) 

Il combustibile, il moderatore, la grafite e vari elementi strutturali sono stati espulsi dal reattore. Si verificarono diversi incendi. Il nucleo del reattore oramai era totalmente esposto all’atmosfera. Il fumo prodotto, colmo di sostanze radioattive, si alzò fino a circa 1 km nell’aria. I componenti più leggeri (inclusi i prodotti di fissione) sono stati spinti dal vento prevalentemente in direzione nord-ovest dall’impianto. Destino diverso per gli elementi più pesanti, i quali caddero vicino al sito.

Tra le conseguenze più agghiaccianti ci fu la creazione del cosiddetto “piede d’elefante”. Infatti, durante la fusione del nocciolo, si formò una sorta di lava contenente una miscela di: combustibile nucleare, prodotti di fissione, barre di moderazione ed elementi strutturali. Questa lava, altamente radioattiva, prese il nome di Corium. Quest’ultimo si fece strada nel reattore e riuscì ad uscire dal nucleo. Una volta raffreddato, si solidificò in bizzarri modi. Tra le strane forme non è passata inosservata quella di un piede d’elefante dalla pelle rugosa. 

Figura 4: Artur Korneev, vicedirettore di Shelter Object, mentre osserva la colata di lava “piede d’elefante”, Černobyl’ NPP (fotografo: Sconosciuto. Autunno 1996)

Al tempo dell’incidente questo Corium emetteva in un’ora l’equivalente di quattro milioni e mezzo di radiografie al torace. Secondo un’esposizione di Kyle Hill (Chernobyl’s Hot Mess, ‘the Elephant’s Foot’ is still lethal, 2013): “Dopo soli 30 secondi di esposizione si avvertiranno una settimana dopo sensazioni di vertigini e stanchezza. Dopo appena due minuti trascorsi in prossimità del piede, le cellule umane collassano a tal punto da produrre emorragie. Dopo quattro minuti cominciano a manifestarsi diarrea, febbre e vomito, dopo 300 secondi di esposizione al soggetto restano 2 giorni di vita”.

Quella di Chernobyl è stata una catastrofe che poteva essere evitata. È difficile immaginare cosa passasse per la mente in quegli attimi a coloro che erano in prima fila per contenere il più possibile il disastro. Inconsapevoli si fecero avanti per affrontare un semplice “incendio”. È doveroso tener conto del contesto in cui l’incidente di Chernobyl ebbe luogo: la guerra fredda, l’Unione Sovietica. Non si poteva perdere, non si potevano mostrare le proprie debolezze.

L’incidente di Chernobyl venne nascosto per lungo tempo, ma a causa delle segnalazioni da parte dei Paesi Nordici in merito al rilevamento di radiazioni anomale, non fu più possibile mascherare la triste realtà dei fatti. Un evento del genere non poteva che risultare come una sconfitta per un paese come l’Unione Sovietica che si definiva forte e all’avanguardia. Ne è prova quanto successo:  nessun edificio di contenimento, combustibile non propriamente arricchito, reattori a coefficiente di vuoto positivo, punta di grafite nelle barre di controllo… tutte scelte economicamente vantaggiose,  a discapito della vita e della sicurezza. 

Concludiamo quindi con le parole di Valerij Alekseevič Legasov, primo vice direttore dell’Istituto Kurčatov di Energia Atomica che indagò sul Disastro di Černobyl’ rivelando particolari scomodi al governo sovietico. In una delle registrazioni che rilasciò prima di togliersi la vita affermò: “Ogni bugia che pronunciamo comporta un debito verso la verità. Presto o tardi, quel debito sarà pagato. […] La verità non si preoccupa dei nostri bisogni o desideri. Non si preoccupa dei nostri governi, delle nostre ideologie, delle nostre religioni. Rimarrà la in agguato sempre. E questo, finalmente, è il dono di Chernobyl. Quando un tempo avrei temuto il costo della verità, ora mi chiedo solo: qual è il costo delle bugie?”

Abbiamo stimolato la tua curiosità? Puoi saperne di più consultando le nostre fonti: 

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