l’incidente nucleare ritorna: Fukushima Dai-ichi

Quando si dorme a casa di una persona che russa, state pur certi che sarà lei la prima ad addormentarsi. Se un congegno meccanico si rompe, lo farà nel peggior momento possibile. Se la mattina vai di fretta, sembrerà che l’intero universo si sia alleato per farti arrivare ancora più in ritardo. Per non parlare di quando ti cade la fetta biscottata con la marmellata …sai già da che parte si schianterà al suolo. Bene, tutto questo apparentemente si potrebbe spiegare attraverso la presenza di una sfiga colossale. In verità, Edward Aloysius Murphy ha studiato tali fenomeni: fu proprio lui il primo a definire il postulato della legge che prende per l’appunto il suo nome, ossia la legge di Murphy. Essa è un insieme di paradossi pseudoscientifici di carattere ironico e caricaturale, che ben si possono riassumere nella iconica frase:

 “se qualcosa può andare storto, lo farà”

BWR: Boiling Water Reactor

Ottimo, ma cosa c’entra uno dei peggiori disastri nucleari avvenuti con tutto questo? L’incidente nucleare di Fukushima Dai-ichi è l’emblema di tale legge: una serie di sfortunati eventi ha condotto l’impianto giapponese ad essere ricordato per sempre come uno dei peggiori disastri nucleari avvenuti nella storia.

Il protagonista della nostra storia è il reattore BWR, cioè ad acqua bollente. Una delle sue peculiarità è che il vapore prodotto dall’assorbimento del calore generato dal processo di fissione nucleare è localizzato già all’interno del reattore. Altri tipi di reattore, come ad esempio il PWR (come la centrale di Three Mile Island) presentano, invece, il vapore solo all’interno del circuito secondario. Per una più chiara comprensione si osservi lo schema in Figura 1.

Figura 1: Schema impianto BWR (fonte: United States Nuclear Regulatory Commission)

La miscela acqua/vapore che si forma per via dell’assorbimento di calore all’interno del reattore lascia la parte superiore del vessel passando attraverso gli ingombranti separatori ed essiccatori. Tali strumenti hanno lo scopo di aggiustare il rapporto di vapore e liquido presente nella miscela bifase in uscita dal nocciolo. Per poter ospitare questa tecnologia, collocata nella parte superiore del reattore, è necessario un allungamento del vessel. Per tale ragione le barre di controllo (Chernobyl) sono inserite dal basso verso l’alto e non più viceversa come nel caso dei PWR a causa della presenza dei filtri appena discussi.

Figura 2: Vessel BWR (fonte: MIT OpenCourseWare)

PWR vs. BWR

Tra le particolarità che distinguono i BWR dai PWR ci sono le jet pump. Attraverso le pompe di ricircolo e le pompe a getto l’acqua viene iniettata a circa metà dell’altezza del vessel. In seguito, essa ricade sul fondo del contenitore per poi proseguire con una risalita all’interno del nocciolo, come si evince dallo schema di figura 2.  Il vapore prodotto viene convogliato direttamente alle turbine, responsabili, tramite un alternatore, di generare elettricità. In questo caso, per le ragioni appena spiegate, la presenza di un generatore di vapore è superflua. Il vapore in uscita dalle turbine viene in seguito condensato e reimmesso, tramite pompe, all’interno del circuito iniziale.

Questo particolare ciclo, definito “diretto”, comporta la presenza di vapore debolmente radioattivo all’interno delle turbine, poiché andato a contatto diretto col nocciolo. Tali turbine sono collocate all’esterno dell’edificio di contenimento: per questa ragione la sala macchine e le tubazioni vanno schermate ed è necessario un controllo accurato della chimica dell’acqua che scorre all’interno del circuito.  Infine, una delle caratteristiche peculiari dei reattori BWR è che è proprio l’acqua a svolgere il ruolo di refrigerante e moderatore (per comprendere meglio questo concetto leggi l’articolo “Three Mile Island: il più grave incidente nucleare avvenuto negli USA“). 

L’incidente nucleare

L’11 marzo del 2011 il Giappone fu colpito dal più violento terremoto mai registrato nell’area in epoca moderna, nonché uno dei cinque eventi sismici più aggressivi avvenuti dal 1900. Il luogo in cui è accaduto tale evento è tra i più sismicamente attivi del pianeta, ovvero all’intersezione tra la placca di Okhotsk e la placca Pacifica. Quando un terremoto ha epicentro in mare, si genera un improvviso spostamento del fondale che causa, di conseguenza, uno tsunami. Questo è esattamente ciò che accadde nel primo pomeriggio dell’11 marzo 2011, fatidica data dell’incidente nucleare.

Figura 3: Tohoku Tsunami (fonte: Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia)

Si sa, il Giappone è un paese fortemente sismico, proprio per questo non si fa cogliere impreparato da tali eventi. La centrale di Fukushima Dai-ichi si trova nei pressi della città di Okuma, a Nord-Est della costa giapponese, e dispone di sei reattori ad acqua bollente (BWR). Tale impianto era stato progettato per resistere ad eventi sismici previsti su basi storiche. Infatti, il giorno dell’incidente, una volta avvenuta la scossa di terremoto, i sistemi di sicurezza antisismici entrarono prontamente in azione automaticamente, spegnendo i reattori nel giro di due secondi. Si interruppe così la reazione di fissione, inserendo completamente le barre di controllo. Il vapore all’uscita del vessel fu deviato, come da protocollo, al condensatore.

Come si presenta la centrale dopo l’incidente?

La conseguenza derivante dal terremoto fu la totale interruzione della fornitura elettrica alla centrale, ma ciò in verità non rappresentava un grande problema dal momento che entrarono in funzione 12 generatori di emergenza Diesel. Nonostante le unità dei rettori erano state progettate per resistere ad una magnitudo più bassa di quella che poi effettivamente colpì il Giappone l’11 marzo, tutti gli impianti hanno funzionato regolarmente durante e subito dopo il terremoto.

Ma allora perché quello di Fukushima fu il più grave disastro nucleare avvenuto dopo Chernobyl se l’impianto ha funzionato addirittura meglio del previsto? Alle 15:30, circa 44 minuti dopo il terremoto, la centrale è stata investita dal primo fronte d’onda dello tsunami, con onde alte 14-15 metri. L’impianto di Dai-ichi era progettato, però, per resistere ad onde di 3,1 metri (dato calcolato secondo le stime storiche). Dopo soli 8 minuti una seconda ondata ha sommerso la centrale e l’incidente nucleare inizia le sue danze.

I danni che tali onde hanno causato sono stati innumerevoli, tra cui il danneggiamento del circuito di condensazione e del circuito di raffreddamento ausiliario, in particolare il Residual Heat Removal (RHR). Hanno, inoltre, sommerso i generatori Diesel, i quadri elettrici e le batterie causando un blackout. Come se ciò non bastasse, lo tsunami ha reso difficile il raggiungimento dall’esterno alla centrale. Le autorità giapponesi hanno ordinato l’evacuazione dell’area, mentre gli ingegneri cercavano di ripristinare il raffreddamento del nocciolo. Il governo proclamò lo stato di emergenza nucleare intorno alle 19:03 della stessa giornata. 

Figura 4: Lo Tsunami che colpì Fukushima Dai-ichi (fonte: The Guardian, photograph: EPA)

Chimica dell’incidente

Dopo quattro ore e mezza dallo spegnimento del reattore dell’unità 1 tutto il nocciolo rimase scoperto con un conseguente danneggiamento delle barre di controllo e, dopo cinque ore, la fusione della parte centrale del nocciolo. Dopo dieci ore, tutto il combustibile, considerato fuso, ricadde sul fondo del vessel. Nel frattempo, si cercava di raffreddare il nocciolo in ogni modo, come ad esempio tramite pompe antincendio con acqua dolce. La reazione tra Zirconio e vapore acqueo produsse una grande quantità di Idrogeno (analogamente a ciò che successe a Three Mile Island e Chernobyl). Tale Idrogeno si mescolò al vapore, causato dall’ebollizione dell’acqua di copertura, e ai prodotti radioattivi volatili (come Xeno, Iodio, Cripton e Cesio) liberati dalle barre danneggiate. La pressione stava aumentando sempre più e fu necessario far sfiatare il sistema tramite valvole, liberando l’Idrogeno in aria.

Alle 15:36 del 12 marzo l’Idrogeno, reagendo con l’Ossigeno, causò un’esplosione aprendo il tetto dell’edificio dell’Unità 1. Si liberarono materiali radioattivi nell’edificio e in atmosfera. Esaurendo la disponibilità di acqua dolce, si procedette ad iniettare acqua di mare borata utilizzando le pompe dei vigili del fuoco. La concentrazione di Boro in mare varia tra i 4 e i 5 mg/l sotto forma di acido borico. Questo intervento continuò fino al 23 marzo. Il 24 marzo il vessel raggiunse la sua massima temperatura di 400 °C, dopo di che iniziò la fase di raffreddamento. 

Figura 5: Esplosione alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi (fonte: Magzter)

Conclusione

Quella di Fukushima Dai-ichi non fu certamente una catastrofe, ma la già citata fuoriuscita di prodotti radioattivi in atmosfera e la contaminazione dell’acqua avvenuta sono i motivi per cui tale disastro è stato classificato al settimo livello della scala INES (International Nuclear Event Scale), lo stesso livello di Chernobyl.

In questi giorni si sente spesso parlare delle acque di Fukushima. Lo scorso 4 luglio l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha dichiarato che il piano previsto dal Giappone per riversare l’acqua incriminata nel Pacifico nel corso dei prossimi decenni rispetta le regole di sicurezza. Però, come spesso accade quando si parla di argomenti delicati quali il nucleare, c’è molta disinformazione, soprattutto per quanto riguarda l’incidente nucleare in questione. Essa genera un terreno fertile per congetture varie che spesso non trovano riscontro con la realtà. Siate curiosi e affamati di verità, solo in questo modo potrete sperare di avvicinarvi all’autenticità dei fatti. 

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Avatar Emilia Toro