Al giorno d’oggi la ricerca sullo stoccaggio dell’energia è essenziale. L’utilizzo delle fonti rinnovabili continua a crescere a livello globale ed è necessario installare sempre più sistemi di accumulo per poter compensare le variazioni di produzione (o di potenza o di energia prodotta) stagionali e giornaliere. In merito a questo, le tecniche per stoccare l’energia sono numerose e in questo articolo ci concentreremo su dei tipi in particolare, i flywheels.
I flywheels o “batterie cinetiche”
Così come le batterie al Litio, accumulano energia in forma chimica, vi sono tecnologie in grado di stoccarla in forma meccanica. La “batteria cinetica” di cui vogliamo parlare oggi si definisce flywheel e la sua peculiarità è, appunto, un volano (wheel) o rotore: un componente meccanico, con forma simile ad un disco, progettato semplicemente per girare su se stesso. Questo è sempre accoppiato ad un generatore-motore: un dispositivo che, all’occorrenza, può ricevere corrente elettrica e utilizzarla per far ruotare il rotore oppure, viceversa, può ricevere una coppia di forze sul rotore, il quale, ruotando, permette la produzione di corrente elettrica.
Figura 1: a sinistra un’immagine esemplificativa di un tipico sistema di stoccaggio di energia a volano (fonte: K.R. Pullen); a destra un esempio di una sezione del sistema Beacon Power (fonte: Beacon Power)
Gyrobus: greco di nome, svizzero di fatto
Il concetto di conversione tra energia elettrica e meccanica non è una novità. Era il lontano 1940 quando un’azienda svizzera chiamata Maschinenfabrik Oerlikon progettò e mise in funzione il primo gyrobus. Questo termine è riferito ad un tram in grado di spostarsi senza bisogno di essere costantemente collegato a cavi elettrici sospesi. Come un tram, infatti, aveva delle aste di metallo che permettevano di ricevere corrente dalla rete, ma queste, oltre ad essere decisamente più spesse di quelle a cui il nostro occhio è abituato, erano mobili. Venivano alzate solo in fase di ricarica, ovvero alle fermate. Mentre i cittadini scendevano e salivano, la corrente metteva in rotazione un grande volano disposto all’interno del bus.
Questo ingombrante rotore, che pesava circa 1,5 tonnellate, continuava a ruotare per inerzia, fungendo da generatore per un motore, il quale, a sua volta, produceva la corrente elettrica utile a far avanzare il veicolo. Vi furono solo 3 linee di gyrobus in tutto il mondo e tutte dovettero chiudere dopo pochi anni. La ragione principale è che il sistema non era abbastanza efficiente e solo una parte dell’energia elettrica ricevuta alle fermate veniva effettivamente convertita in energia meccanica che potesse poi essere utilizzata.
Tutt’ora i flywheels presentano buone prospettive di essere impiegati nel settore dei trasporti per la loro capacità di adattarsi in fretta alle variazioni di velocità. Ad ogni modo, se al giorno d’oggi il veicolo appena descritto fosse ancora in funzione, sarebbe sicuramente oggetto di scherno: per poter trasportare 20 persone per una tratta di 2 km servirebbe un flywheel di 2 tonnellate! Fortunatamente, da dopo il gyrobus, l’innovazione sta facendo passi da gigante: come si può rinnovare un volano di questo tipo? E soprattutto come renderlo adatto a mezzi che non possono fare fermate per “ricaricarsi”?
Le modifiche applicate
Il parametro che permette di far girare un volano più a lungo è la sua inerzia: tanto più è alta, tanto più l’oggetto tende a restare nel suo stato di moto. L’inerzia può essere vista come la “pigrizia” degli oggetti che ci circondano. Per colpa sua, un oggetto fermo tende a restare fermo, un oggetto che si sposta tende a continuare a spostarsi e, infine, un oggetto che ruota su se stesso tende a continuare a ruotare. Per questo motivo una delle caratteristiche su cui si è lavorato per prolungare la rotazione dei flywheels è stata la distribuzione della massa dell’oggetto.
Può essere utile pensare ad una pattinatrice che esegue le pirouettes: finché le braccia sono vicine al proprio asse la rotazione è rapida, mentre, nel momento in cui le estende, il moto rallenta. Questo avviene perché aumenta l’inerzia. Quindi, per aumentare la tendenza di un oggetto a mantenere la propria rotazione più a lungo possibile, come avrebbe fatto una pattinatrice, si è semplicemente spostata quanta più massa possibile sul bordo esterno del disco, al punto da renderlo anche cavo al centro.
In un mondo ideale, le auto potrebbero consumare carburante solo in partenza e poi l’inerzia le farebbe viaggiare in eterno. Se teniamo i piedi per terra, però, sappiamo che purtroppo questo non è possibile a causa degli attriti tra il mezzo e tutto quello con cui è a contatto. Ogni volta che viaggiamo sappiamo, per esempio, che l’attrito dell’aria ci rallenta, spingendo in verso opposto al nostro moto. Per questo motivo, i flywheels pensati per lo stoccaggio di energia oggi ruotano in ambienti senza aria, sottovuoto. Inoltre, per avvicinarsi ancora di più al mondo ideale che abbiamo appena immaginato, il volano non è più mantenuto in asse grazie al contatto di componenti meccanici, ma grazie a campi magnetici.
In sintesi, negli anni, rispetto al volano del gyrobus, sono state modificate la geometria e le condizioni di rotazione. In realtà, però, il fattore chiave che ha avuto il maggiore impatto sulle prestazioni è stato un altro. L’obiettivo era trovare un modo per rendere più veloce possibile la rotazione, perchè a velocità maggiori corrisponde una maggiore energia cinetica stoccabile.
Da questo punto di vista la scelta del materiale è stata decisiva. I flywheels sotto analisi oggi sono fatti di Glass Fiber Reinforced Polymer (GFRP) o di Carbon Fiber Reinforced Polymer (CFRP). Questi sono materiali compositi creati per resistere bene allo stress meccanico, che è causato dalle forze centrifughe sul volano in rotazione. Il motivo per cui si è ricorso a questi polimeri è che sopportano alti sforzi di questo tipo, senza dover per questo essere particolarmente pesanti. Per esempio, la fibra di carbonio CFRP resiste a stress pari al doppio di quelli a cui resisterebbe il titanio, ma è 3 volte meno pesante del titanio! Dunque i flywheels fatti di queste fibre sono perfetti per ruotare a velocità molto elevate, grazie alla propria leggerezza, senza sfaldarsi, grazie alla propria resistenza.
Il futuro dei Flywheels
Tutti questi aspetti costituiscono le caratteristiche sulle quali la ricerca va avanti per migliorare questa tecnologia. In particolare, gli obiettivi del momento consistono nel rendere i flywheels più compatti e testare i nuovi materiali. Inoltre, sarà necessario mettere alla prova tutti gli ingredienti per rendere questa tecnologia una ricetta sicura. Per esempio testando la robustezza del casing, l’involucro contenente il volano, in caso di rottura del rotore. Infine, sarà necessario adottare strategie per ridurre il loro costo d’investimento iniziale.
Le prospettive sono comunque interessanti: i flywheels possono avere applicazioni sia nel settore dei trasporti che in combinazione con impianti fotovoltaici. Per il primo caso, ciò che li rende particolarmente adatti, come accennato, è la facilità con cui si adattano alle variazioni di velocità del veicolo. In generale, questa tecnologia risulta particolarmente interessante per tutte le applicazioni che richiedono un alto numero di cicli di carica e scarica. È noto, infatti, che le batterie più comuni si basano su reazioni chimiche reversibili ed è proprio per via della loro natura chimica che queste si rovinano dopo un elevato numero di utilizzi. In poche parole, a reazione diretta e inversa corrispondono carica e scarica di corrente elettrica.
Questo processo però non è perfetto: la reazione inversa non riporterà mai esattamente alle condizioni iniziali. Mano a mano che, nell’arco della sua vita, la batteria esegue cicli di scarica e ricarica, questa “imperfezione” diviene sempre più accentuata e il processo di conversione tra energia chimica ed elettrica diviene sempre meno efficiente, fino a rendere la batteria inutilizzabile. Questo non può succedere, invece, nei sistemi di stoccaggio dell’energia che non si basano su reazioni chimiche.
I flywheels sono dunque degni di interesse. I sistemi di conversione dell’energia in forma meccanica possono sembrare intuitivi, mentre invece, la loro ottimizzazione e il loro design celano insidie. Le loro peculiarità rappresentano una sfida ed allo stesso tempo una potenziale risorsa. Riuscirà la trottola a restare in piedi?
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