Due bucce di banana, una lisca di pesce, un piatto di pasta avanzata e una manciata di scarto di mais. No, non sei su un sito di cucina e questa non è una qualche strana ricetta, ma sono solo alcuni degli elementi che contribuiscono all’efficientamento energetico di casa tua… Non te lo aspettavi, vero? Ebbene, ad oggi il recupero di energia pulita e rinnovabile a partire dai rifiuti organici sta divenendo una delle tecniche più promettenti e redditizie. Tale metodo di recupero dell’energia permette infatti di ricavare biometano, un combustibile costituito prevalentemente da metano e anidride carbonica, ma anche da idrogeno, azoto e monossido di carbonio.
Un breve ripasso: origini e utilizzo del biometano
Come già sviscerato nel nostro articolo sul tema, il biometano è ottenuto dalla fermentazione batterica in anaerobiosi (cioè in assenza di ossigeno e a temperatura controllata) di sostanze di origine organica (animale e vegetale), provenienti da colture prodotte per questo scopo, ma anche da scarti dell’agricoltura e dell’industria alimentare e zootecnica, oltre che perfino dai rifiuti alimentari post consumo. Successivamente, mediante un processo di purificazione che rimuove l’anidride carbonica e altri contaminanti si ottiene biometano, un combustibile con basso impatto ambientale e di alta qualità, utilizzabile come carburante per l’autotrazione o per la produzione di energia in alternativa alle fonti fossili non rinnovabili. Dunque è così che i rifiuti di qualcuno diventano risorsa per qualcun altro, venendo riutilizzati e rientrando a far parte di quel ciclo produttivo che costituisce il famoso sistema dell’economia circolare.
Nel vivo della discussione: le energy crops
Tuttavia, come precedentemente asserito, la disponibilità di materia organica rinnovabile è legata anche alla presenza su larga scala di colture destinate a tale scopo, ovvero delle cosiddette energy crops o colture energetiche. Ma cosa sono le energy crops? Si tratta di piantagioni agricole coltivate con il solo obiettivo di produrre energia e il cui raccolto non è dunque destinato alla diretta consumazione alimentare. Ad esempio, nell’Europa centrale odierna le maggiori colture energetiche esistenti interessano:
- barbabietole da zucchero, patate e grano di mais da cui per fermentazione sono ricavati bioetanolo e additivi per carburanti;
- semi di colza e di girasole da cui si ottengono olio vegetale e biodiesel per transesterificazione, una reazione chimica che consiste nella rottura degli acidi grassi per ottenere biodiesel e glicerolo. Quest’ultimo non è un prodotto di scarto ma un composto pregiato destinato a possibili utilizzi, ad esempio nell’industria alimentare e farmaceutica;
- alberi, erbe, cereali e miscanto che forniscono calore ed elettricità in seguito a combustione.
Incentivi per le colture energetiche: pro e contro
Per anni la coltivazione di colture energetiche è stata sostenuta finanziariamente nell’ambito della politica agricola comune dell’Unione europea per mezzo di premi. Tuttavia nel 2010 tale promozione è stata abolita poiché, nonostante l’energia possa essere fornita in modo ecocompatibile attraverso lo sfruttamento di colture energetiche, riducendo notevolmente le emissioni di CO2, l’impatto sul clima delle coltivazioni è oggetto di controverse discussioni. Infatti l’introduzione delle colture energetiche ad ampia scala potrebbe provocare degli squilibri ambientali che riguardano principalmente la tutela e il mantenimento del paesaggio agrario.
I rischi che la coltivazione intensiva delle specie da biomassa potrebbe avere sul territorio sono legati a:
- Consumo eccessivo della risorsa idrica necessaria all’irrigazione delle piantagioni ed eccesso di nutrienti nel suolo e nelle acque;
- Perdita delle riserve di carbonio immagazzinate a seguito della conversione di prati e pascoli in terreno arabile;
- Emissione di grandi quantità di gas serra a seguito dell’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi che contribuiscono al verificarsi di danni ecologici di varia natura;
- Perdita della biodiversità a causa del ripristino di modelli di produzione più intensivi;
- Semplificazione del paesaggio e distruzione di habitat e di specie di grande importanza naturale;
- Incremento del rischio di incendi.
Sulle ali dell’ingegneria genetica tutto è possibile… O quasi
È inoltre importante considerare che al momento le colture da bioenergia non sono sempre in grado di fornire produzioni elevate e redditi soddisfacenti. Per tale ragione sono attualmente in corso studi e sperimentazioni presso vari enti di ricerca ed università tesi all’ottimizzazione di tutte le operazioni di tecnica colturale, a partire dalla semina fino alle operazioni di taglio, raccolta e stoccaggio delle biomasse. Si tratta infatti di studi e ricerche concernenti il miglioramento genetico e la selezione di varietà e di cloni che si adattino al meglio all’ambiente climatico in cui tali colture sorgono, al fine di fornire elevate produzioni di biomassa e garantire resistenza alle malattie. Ma in quale misura questa pratica risulta essere etica? E fino a che punto l’uomo ha il diritto di spingersi oltre il limite impostogli dalla Natura?
Questi sono interrogativi ai quali è difficile fornire una risposta univoca che riesca a mettere d’accordo tutti. Una cosa è certa: per poter controllare tutti questi aspetti tra loro interconnessi bisogna che le energy crops si sviluppino all’interno di un quadro di riferimento in grado di garantire un approccio ecocompatibile, valutando le caratteristiche morfologiche e climatiche proprie di ciascun territorio e riducendo al minimo gli impatti e le pressioni ambientali. D’altro canto, la biomassa rappresenta senza dubbio una risorsa alternativa preziosa, poiché fonte di grandi benefici, pertanto è necessario sfruttarla in maniera consapevole. A fronte dei rischi comportati dalla sua produzione, è necessario prevedere adeguate norme ambientali da applicare allo sviluppo di materie prime per i biometano.
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