giacimenti in abbondanza: benedizione o condanna?

Se vi citassimo l’espressione “escremento del diavolo” a che cosa pensereste? Probabilmente ad uno dei peccati capitali o a qualche personaggio storico che si è macchiato delle peggiori colpe… e se invece vi rivelassimo che si riferisce al petrolio?Arriva da una frase detta dal ministro del petrolio del Venezuela degli inizi degli anni ’60, Juan Pablo Pérez Alfonzo: “Il petrolio non è oro nero, è l’escremento del diavolo”. Questa affermazione la dice lunga sulle difficoltà che una nazione può incontrare nella gestione dei giacimenti fossili nei propri territori. Trovare il petrolio è dunque una benedizione o una condanna? La risposta è molto articolata, ma si può riassumere con la parola che risolve il 99% dei problemi ingegneristici: “dipende”.

Parola chiave: volatilità

Molti dei guai che il petrolio è in grado di causare derivano da una sua spiccata caratteristica: l’estrema volatilità del suo prezzo di mercato. Nel mondo della finanza, la volatilità indica la variazione percentuale dei prezzi nel corso del tempo: il petrolio ne ha da vendere! Ci sono un’infinità di fattori responsabili di cotanta irrequietezza. Variazioni di domanda ed offerta, livelli delle scorte internazionali e fattori geopolitici sono solo alcuni di questi. Il suo prezzo è così incerto che spesso vengono stipulati dei particolari contratti detti futures, in cui si stabilisce oggi la quantità e il prezzo del petrolio da acquistare in una specifica data futura, anche a distanza di mesi!

Figura 1: storico dei prezzi in dollari al barile del WTI (negli ultimi 25 anni (fonte: Trading Economics)

Più l’economia di un paese si basa sul petrolio, più essa sarà in balia delle sue brusche variazioni e quindi meno stabile. È tutta una questione di PIL (prodotto interno lordo, GDP in inglese che sta per “Gross Domestic Product”): più le rendite dalle fonti fossili occupano una percentuale alta del PIL, più la nazione è dipendente da questa risorsa per sostenersi. Più invece il paese riesce a diversificare il proprio mercato in altri settori e meno accuserà i contraccolpi della volatilità, perché avrà molti più mezzi su cui contare.

La ruota della fortuna gira: il caso Norvegia

Come in tutte le cose, un pizzico di fortuna non guasta mai. È questo il caso della Norvegia, paese oggi leader nel mercato del petrolio che deve il suo successo a un’incredibile coincidenza. Per i norvegesi la dea bendata ha un nome e un cognome: Farouk al-Kasim, un geologo petrolifero iracheno. Appena arrivato nel 1968 in Scandinavia, Farouk andò al ministero dell’industria per cercare lavoro in una compagnia petrolifera.

Erano tempi duri per il settore petrolifero norvegese. Da anni si stava esplorando invano il mare del Nord alla ricerca di giacimenti fossili sfruttabili. Nel momento in cui Farouk cercava lavoro fu assunto come consulente per analizzare i resoconti delle esplorazioni. L’anno successivo, il 1969, doveva essere la fine della ricerca del petrolio. Restava un ultimo sito da perforare: Ekofisk. Si assaporava l’ennesima sconfitta e per ironia della sorte lì trovarono uno dei più grandi giacimenti di petrolio in mare aperto del mondo intero.

Ecco quindi che il paese aveva disperato bisogno di qualcuno con esperienza nel settore dei fossili, per evitare di sprecare questo tesoro. Farouk era nel posto giusto al momento giusto. Grazie alle sue capacità maturate in Medio Oriente trainò la Norvegia verso il successo. Ad oggi la nazione ha esportato 30 miliardi di barili di greggio in tutto il mondo.

Figura 2: impianto di trivellazione di Ekofisk, il più grande giacimento petrolifero norvegese e uno dei più grandi al mondo (fonte: Spiritnow)

Certo, si potrebbe sottolineare come la Norvegia fosse già una nazione dall’economia fiorente quando si scoprì il giacimento, mentre la maggior parte dei pozzi si trova in paesi in via di sviluppo tra i più poveri al mondo. Eppure, non basta essere un paese sviluppato per essere immuni dalla maledizione del petrolio: basta studiare il male olandese per rimescolare le carte in tavola.

Figura 3: In alto la distribuzione delle riserve petrolifere nel mondo, in basso la dipendenza dei vari paesi dalle fonti fossili, espressa come percentuale del PIL nazionale (fonti: Our World in Data e articolo di Edouard Mien)

Pillole di economia per sopravvivere ai fossili

Per smorzare gli effetti della grande volatilità del petrolio è bene che ogni paese crei i cosiddetti fonti a bassa volatilità, ossia investimenti in grado di fornire rendimenti elevati riducendo al minimo i rischi. Questa strategia punta ad ammortizzare gli investitori dalle grandi oscillazioni di mercato del petrolio ed è valida per qualunque paese: ciò che cambia però è il tipo di fondo. Per una nazione già sviluppata ha senso investire i soldi all’estero, perché essendo la propria economia già ricca all’estero si trova più potenziale per far fruttare il proprio denaro, mentre un paese in via di sviluppo ha necessità di investire internamente, dove c’è gran bisogno di denaro per crescere.

In entrambi i casi, il rischio è quello di farsi prendere dalla febbre dell’oro e di sperperare velocemente il denaro ottenuto dal petrolio in grandi investimenti onerosi e poco redditizi nel lungo termine, ritrovandosi in condizioni ancora peggiori che spesso sfociano in corruzione e conflitti. Un esempio possono essere le grandi opere civili: ha senso riempire un fiume di ponti o una montagna di gallerie senza una adeguata pianificazione e gestione solo perché abbiamo i soldi a disposizione per farlo?

Conclusione

Ecco quindi che parallelamente al fondo di bassa volatilità si deve anche aprire un fondo “salvadanaio”, per non dilapidare immediatamente la fortuna ricevuta e preservarla per le future generazioni (non a caso infatti si chiamano Future Generation Funds). Questi parcheggi temporanei di denaro sono particolarmente utili per i paesi in via di sviluppo, dove le opportunità di investimento possono essere rallentate da vari fattori, come ad esempio la carenza di lavoratori qualificati.

Sia ben chiaro: in questo articolo non stiamo dando la ricetta dell’economia perfetta e né stiamo criticando le azioni politiche che i paesi intraprendono quando hanno a che fare con le fonti fossili. Non abbiamo né le competenze e né l’intenzione di farlo. A noi piace darvi le chiavi di accesso a porte su argomenti che forse non sono così conosciuti o compresi, come in questo caso lo stretto legame tra economia ed energia. Sta poi ad ognuno costruirsi la propria idea sulla vicenda e, perché no, anche a spingersi ad informarsi sempre più. Perché le porte della conoscenza sono come le patatine: una tira l’altra.

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