I primi passi nel mondo della medicina nucleare

La medicina deve ogni giorno battersi per vincere numerose battaglie. Tra le tante, i tumori risultano ancora un nemico arduo da affrontare, per la loro imprevedibilità e velocità di azione. Ma perché parliamo di medicina nucleare in una pagina che tratta di energia? Come spesso si è accennato, l’energia è una realtà che ci circonda in ogni ambito della nostra vita e, anche in questo contesto, non se ne può fare a meno!

Infatti, in questa lotta contro il cancro l’energia nucleare, mediante l’interazione tra le radiazioni e le cellule malate, risulta essere una potentissima arma a nostra disposizione. E questa non è l’unica applicazione! Basti pensare alle quotidiane radiografie che ci permettono di osservare le condizioni delle nostre ossa. Nulla di tutto ciò sarebbe possibile senza la scoperta delle radiazioni. Iniziamo ad intrufolarci in questo nuovo mondo: la medicina nucleare!

La radioattività nella medicina nucleare

In generale, quando si parla di “applicazioni biomediche da radiazioni” si indicano tutti quei trattamenti in cui si fa uso di fasci di particelle elementari (elettroni, protoni, neutroni) somministrate al corpo umano per scopi diagnostici e terapeutici. In particolare, le moderne cure mediche seguono due differenti strategie: adottare le radiazioni nella lotta contro il cancro e promuovere la diffusione di elementi radioattivi, detti radionuclidi, nella medicina nucleare.

Si deduce, da queste prime righe, come per proseguire sia necessario comprendere il concetto di radioattività, già accennato nell’articolo “I rifiuti radioattivi: facciamo chiarezza”.

La radioattività è un processo spontaneo in cui un nucleo instabile chiamato Padre (che corrisponde a tutti gli effetti ad un radionuclide) emette particelle elementari accompagnate da un altro nucleo chiamato Figlio, che può essere stabile o meno. In quest’ultimo caso, si va incontro a una catena di decadimento finché non si raggiunge una configurazione finale stabile. La formazione di una catena di reazioni da fissione è alla base del funzionamento di un reattore nucleare: se vuoi approfondire l’argomento leggi “L’atomo è veramente “non divisibile”? Ce lo spiega la fissione!”.

Una simpatica animazione, riportata in Figura 1, mostra il decadimento di un generico radionuclide Padre ed il corrispondente incremento nella concentrazione del Figlio.

Panoramica su radiattività

La natura di questo processo di decadimento si può visionare graficamente grazie al diagramma di Segré (riportato in Figura 2), in cui ogni radionuclide con il corrispettivo numero atomico Z(il numero di protoni all’interno del nucleo) viene rappresentato in funzione del numero di neutroni N di quel nucleo. Guardando questo grafico, è possibile notare come lo scopo di ciascun radionuclide sia quindi di sposarsi verso la bisettrice (Z = N), il che significa decadere in qualcos’altro.

In base alla posizione del nuclide nel grafico, differenti decadimenti radioattivi possono essere osservati.

Tra i più comuni, si individuano:

  • i decadimenti α(in arancione), tipici di nuclidi pesanti con elevato Z  ed alto N;
  • i decadimenti β+(in verde), nella regione per Z > N, e β (azzurro), nella regione per Z < N;
  • i decadimenti da cattura di elettroni e neutroni, quando essi orbitano liberi in prossimità di un nucleo;
  • i decadimenti γ, che sono tipicamente una conseguenza di un precedente decadimento α o β.

Le reazioni da fusione sono proprie di nuclei leggeri e sono concentrate nella regione sud-ovest del diagramma di Segré. Avendo ben compreso in cosa consiste la radioattività, possiamo adesso esaminare in che modo questo strumento ci è utile nella lotta contro il cancro.

Figura 2: Diagramma di Segré (fonte: Wikipedia)

Come risponde il corpo alla medicina nucleare?

L’utilizzo delle radiazioni nella lotta contro il cancro è basato su evidenze scientifiche che hanno dimostrato come le radiazioni γ ad alto contenuto energetico attacchino le molecole biologiche. Questa affermazione dovrebbe forse allarmarci, perché ciò significherebbe che le radiazioni attaccano tutte le cellule indifferentemente dalla loro natura, tumorali o no. Ma la buona notizia è che le cellule tumorali sono più deboli di quelle normali, per cui sono più facili da annientare limitando in tal modo gli effetti sulla parte sana.

Per comprendere quanto l’effetto di una radiazione sia efficace, si ricorre alla stima della frazione di cellule morte durante l’esposizione. Questo fattore dipende dalla dose assorbita (cioè la quantità di energia trasferita dalla radiazione ad un qualunque materiale assorbitore), dal tipo di radiazione e dal tipo di cellula. Graficamente, è possibile osservare come per una data dose trasferita ad un tessuto biologico (sull’asse orizzontale) corrisponda una determinata frazione di cellule uccise (sull’asse verticale), siano esse normali o cancerose (vedi Figura 3b).

Come la medicina nucleare contrasta i tumori?

La dose somministrata al corpo umano, infatti, non deve superare un certo limite, altrimenti un eccessivo numero di cellule normali verrebbe distrutto, portando così alla morte dei pazienti. Per individuare la finestra terapeutica su cui è possibile intervenire, si procede con uno studio di tipo statistico basato sull’identificazione di 2 curve (vedi Figura 3a):

  • le curve TCP (Tumour Local Control), specifiche per ogni tipo di tumore, esprimono, in funzione della dose, la probabilità di controllo locale della malattia, cioè della morte radioindotta delle cellule non sane;
  • le curve NTCP (Normal Tissue Complication Probability) esprimono, invece, la probabilità di produrre complicazioni nei tessuti sani inevitabilmente coinvolti nell’irradiazione.

È chiaro quindi che in ogni singolo trattamento si debba somministrare una dose che rappresenti un compromesso fra una probabilità sufficientemente elevata di ottenere il risultato terapeutico atteso e una probabilità sufficientemente bassa di produrre danni gravi e irreversibili ai tessuti sani. Generalmente, tali probabilità si fissano, rispettivamente, al 95% e al 5%.

La ricerca si sta muovendo nella direzione di separare quanto più possibile le curve TCP e NTCP, in modo da rendere le conseguenze su una funzione indipendenti dall’altra.

Figura 3a (a destra): Esempio di visualizzazione grafica della probabilità di cura da un tumore (TCP) e la probabilità di complicazioni per un tessuto normale (NTCP) in un paziente sottoposto a trattamento. Il grafico in a è basato su Holthusen (1936) (fonte: Springer)
Figura 3b (a sinistra): Esempio di visualizzazione grafica della frazione di cellule morte rispetto una corrispettiva dose assorbita. Il grafico in b è basato su Puck e Marcus (1956) (fonte: Springer)

Come impiegare la medicina nucleare?

Come detto all’inizio del nostro articolo, le radiazioni non vengono impiegate solamente per motivi terapeutici ma anche diagnostici! In medicina nucleare, infatti, spesso si fa uso di piccole quantità di radioisotopi come traccianti per lo studio degli organi interni (come durante la scintigrafia) oppure durante i moderni esami radiologici. A questo scopo, i traccianti devono soddisfare due importanti caratteristiche. Da un lato, offrire una dose concentrata e mirata e, dall’altro, garantire una facile espulsione dal corpo di quanto assorbito. Questi due obiettivi richiedono l’adozione di isotopi con ridotti tempi di dimezzamento T1/2, parametro che indica il tempo speso dall’isotopo per ridurre del 50% la sua concentrazione originaria. Dopo 10 tempi di dimezzamento, il livello di radiazione è praticamente trascurabile, in quanto si riduce ad 1/1024 di quello iniziale, come può essere osservato dalla Figura 4 e dalla Figura 5.

Figura 4: Numero di nuclidi come funzione dei tempi di dimezzamento per un generico radioisotopo (fonte: Nuclear Physics)
Figura 5: La concentrazione di un generico radioisotopo dopo 9 tempi di dimezzamento è circa 1/512 di quella originale (fonte: Nuclear Physics)

Catena di decadimento del Molibdeno-99 (Mo-99)

Tra tutti i test sperimentali condotti in questo campo, il Molibdeno-99 (Mo-99), dove con 99 si indica il numero di massa A=Z+N, rappresenta uno dei più comuni radionuclidi impiegati nella medicina nucleare diagnostica, specialmente per le scansioni SPECT (Tomografia Computerizzata ad Emissione Singola di Fotoni), in grado di individuare un gran numero di condizioni fatalmente pericolose ed aiutare i pazienti nel ricevere trattamenti salvavita.

Il Mo-99 è uno dei sette isotopi del Molibdeno naturale (Mo-98) che si annovera al 54o posto come elemento più abbondante sulla crosta terrestre. Non trovandosi direttamente in natura sotto forma di isotopo, il Mo-99 viene prodotto mediante intenso bombardamento neutronico di Uranio debolmente arricchito (LEU).

Chimica del Molibdeno-99

Quando avviene una cattura neutronica, il Molibdeno naturale stabile diventa Mo-99, secondo quanto riportato in eq. 1:

\[\ ^{98}_{42} Mo + ^{1}_{0} n \rightarrow ^{99m}_{42} Mo \rightarrow ^{99}_{42} Mo + γ \]

Nell’ eq. 1 è comunque presente un passaggio intermedio. Infatti, l’assorbimento di un neutrone comporta in un primo momento la formazione di Mo-99 ma nella sua forma metastabile (m), ossia una forma meno stabile del corrispettivo isotopo. Solo successivamente, per mezzo di un decadimento γ, si giungerà alla sua forma non metastabile, passando da Mo-99m a Mo-99. Si può osservare, inoltre, come questa tipologia di decadimento non comporta variazioni nel numero di protoni Z, o di neutroni N, dopo la reazione (A è rimasto costante pari a 99), in quanto sono coinvolte solo radiazioni elettromagnetiche.

A questo punto, il Mo-99 possedendo troppi neutroni va incontro ad un decadimento β, in cui un neutrone si converte in protone e si ha l’emissione di un elettrone e di un antineutrino elettronico. Una conferma grafica è anche fornita dal diagramma di Segrè: ci ritroviamo infatti nella regione Z < N caratterizzata proprio da questo tipo di decadimento.

Il Mo-99 quindi sostiene la seguente reazione, descritta nell’eq. 2, dando origine al Tecnezio metastabile (Tc-99m):

\[\ ^{99}_{42} Mo \rightarrow ^{99m}_{43} Tc + β^{-} + \vec{v_{e}} \]

A sua volta, come per il caso del Mo-99m, il Tc-99m decade attraverso un’emissione γ nel Tecnezio non metastabile, il Tc-99, come descritto nell’eq. 3.

\[\ ^{99m}_{43} Mo \rightarrow ^{99}_{43} + γ \]

Poiché questo isotopo è ancora radioattivo, esso va incontro nuovamente ad un decadimento β, producendo il Rutenio-99 (Ru-99) (eq. 4):

\[\ ^{99}_{43} Tc \rightarrow ^{99}_{44} Ru + β^{-} + \vec{v_{e}} \]

L’intera catena di decadimento del Mo-99 è mostrata in Figura 6, mentre in Figura 7 sono riportati alcuni dati nucleari per questo isotopo.

Figura 6: Catena di decadimento del Mo-99 fino alla configurazione stabile (fonte: sciencedirect.com)
Figura 7: Dati nucleari per il Mo-99 tratti da una tavola dei nuclidi (fonte: ans.org)


Tempi di dimezzamento del Mo-99 e del Tc-99m

A causa dell’uso finale che viene fatto del Molibdeno-99, la caratteristica fondamentale da dover sempre tenere presente è il tempo di dimezzamento T1/2

Il Mo-99 ha un tempo di dimezzamento di appena 66 ore e dunque, cominciando da una data quantità, dopo meno di 3 giorni metà di essa sarà decaduta in Tecnezio-99m. In altre parole, diminuisce di circa il 20% ogni giorno. Il Mo-99 ha, quindi, un tempo di dimezzamento sufficientemente lungo da poter essere prodotto in opportuni stabilimenti (tipicamente reattori nucleari a fissione non destinati alla produzione di potenza) fino alle fabbriche radio-farmaceutiche, dove può essere processato nel nuclide figlio ed impiegato per fini diagnostici.

Il Tc-99m mostra, invece, un tempo di decadimento molto breve, di circa 6 ore. Necessita, pertanto, di essere impiegato quanto prima dal momento in cui viene prodotto. Nonostante ciò, essendo un emettitore di radiazioni luminose, è impiegato come tracciante nelle immagini mediche radiografiche per diagnosi e per monitorare lo stadio delle malattie (ad esempio, i tumori ed i disturbi cardiaci). Quando viene iniettato nei pazienti, comincia a decadere, producendo fotoni che vanno ad impattare un collettore esterno. Basandosi sulla distribuzione dei fotoni emessi nei pazienti, è possibile dichiarare che, in presenza di una loro concentrazione anomala, vi sia un’alta probabilità di avere una massa cancerosa in quell’area. Questo processo prende il nome di radiotracciamento.

I principali vantaggi del Mo-99 e del Tc-99m

La diffusione dell’utilizzo questi radionuclidi non è per nulla scontata, ma fa gran leva sui vantaggi che si hanno dal loro impiego e dalla loro produzione.

Questi isotopi possono essere visti, infatti, come una sorta di ECO-nuclidi, rispetto ai loro predecessori, nel senso che sono:

  • “ECOlogici” e non radiotossici, poiché emettono esclusivamente radiazioni γ ad un livello energetico adatto ad ottenere immagini utili nell’ambito della medicina nucleare, senza contaminare l’ambiente circostante. Sono, infatti, caratterizzati da un tempo di dimezzamento relativamente breve (per il Tc-99m di sole 6 ore). In tal modo, qualsiasi quantitativo di radioattività dovesse entrare in contatto, ad esempio, col sistema fognario tramite le urine o le feci dei pazienti, si auto-annienterebbe in un paio di giorni.
  • “ECOnomici” e non onerosi, perché il generatore che li produce fornisce gran parte della radioattività necessaria al funzionamento di un Centro di medicina nucleare di medie dimensioni, per un’intera settimana, ad un costo di 1000-1500 euro. In passato, tutti i radionuclidi utilizzati venivano prodotti solo in alcuni grandi centri nucleari, prevalentemente negli Stati Uniti e in Canada, da cui venivano spediti per via aerea ai singoli laboratori che li richiedevano caso per caso. Non è difficile immaginare il costo di questa procedura.

A questi vantaggi si somma la capacità di dissipare tutta la loro energia in un piccolo spessore (meno di 1 cm), consentendo una radioterapia selettiva e con possibili danni relativamente trascurabili se paragonati con il vantaggio di una diagnosi veloce quando inalati o iniettati nei pazienti.

Conclusioni

Una cosa è certa: a prescindere da tutto, gli isotopi impiegati nelle varie applicazioni mediche devono essere prodotti. A questo scopo esistono varie possibilità: possono essere prodotti nel nocciolo dei reattori nucleari oppure mediante acceleratori di particelle. Mentre i primi sono ben noti, a volte, i secondi non sono così famosi e capire il loro funzionamento è spesso appannaggio di pochi ricercatori del settore. Eppure sono macchine sensazionali, dove le particelle sono accelerate a velocità prossime alla velocità della luce e, successivamente, sono fatte scontrare con altri nuclei.

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