Se pensi di sapere come brucia una candela ti stai sbagliando

“Non esiste legge che governa qualsiasi parte dell’universo che non entri in gioco nella chimica della candela”. Questa è una frase del fisico Micheal Faraday, che era affascinato da come un oggetto così semplice avesse così tanto da raccontare sulle leggi che regolano il nostro mondo. Siete sicuri di conoscere per davvero come brucia una candela? Se ritenete di sì, potrei scommetterci che vi state sbagliando. 

Cera e stoppino: chi brucia per davvero?

Per prima cosa osserviamo i due componenti principali della candela: la cera e lo stoppino. La prima è una paraffina, ossia una molecola formata da solo carbonio ed idrogeno a formare una lunga catena. Gli idrocarburi sono una famiglia vastissima di componenti (la cui star è il metano, formato da un carbonio e quattro idrogeni), ma per potersi guadagnare il nome di paraffina si devono possedere almeno 20 atomi di carbonio nella catena. Lo stoppino, invece, è un semplice filamento in cotone. 

Ecco quindi la domanda da un milione di dollari: qual è il vero combustibile della candela? La cera? Lo stoppino? Entrambi? Nessuno dei due? Prendetevi un minuto per pensarci prima di continuare a leggere, altrimenti vi spoilererete la soluzione. 

Sveliamo l’arcano: la scienza dietro la candela

Immaginiamo ora di rimpicciolirci fino alla scala atomica e di piazzarci davanti ad una candela nel momento in cui viene accesa (non dimenticatevi i popcorn per godervi la scena). Per prima cosa, la punta dello stoppino inizia a bruciare, perché il semplice cotone non resiste alle alte temperature, e si consuma fino a poco prima dello strato di cera. A questo punto, il calore dello stoppino si trasmette alla cera sottostante. L’alta temperatura decompone il primo strato di cera, spezzando alcuni legami tra gli atomi delle lunghe catene e portandola allo stato liquido.

Qui avviene la prima magia: la cera liquida inizia a risalire lungo lo stoppino fino alla sua cima. Come fa a sconfiggere la gravità? Grazie alla capillarità, un insieme di forze che entrano in gioco all’interfaccia tra un liquido (la cera fusa) e un solido (le fibre dello stoppino). Anche se non siete dei maniaci delle pulizie, vi sarà capitato di bagnare la punta di uno straccio e di vedere la chiazza d’acqua risalire lungo la trama del tessuto: il fenomeno è esattamente lo stesso.

Una volta scalata la vetta, il calore inizia a farsi sentire. La temperatura è ancora più alta: i legami continuano a rompersi e la cera passa dallo stato liquido a quello gassoso. Adesso, e soltanto adesso, la cera reagisce con l’ossigeno per attuare la combustione vera e propria. Solo un gas può entrare abbastanza in contatto con un altro gas per far avvenire la combustione: fino a quando la cera era allo stato solido o in quello liquido questo non poteva accadere. Quindi, se alla domanda di prima avete risposto che il combustibile era la cera, ci eravate quasi: se aveste specificato lo stato della cera avreste vinto il montepremi. Che peccato…

Let it burn: il colore della fiamma

Le meraviglie delle candele non sono mica finite qui. Tanto altro si può raccontare sulla forma e sul colore della fiamma generata. Si possono definire tre zone distinte che compongono la fiamma.  Lo strato più esterno è quello dove l’ossigeno è più abbondante, perché viene continuamente approvvigionato dall’aria circostante. In questa zona, dunque, avviene la combustione completa: c’è abbastanza ossigeno per far reagire tutta la cera vaporizzata, cioè tutti gli atomi di carbonio si convertono in anidride carbonica. Non so se avete mai notato il sottile strato blu che avvolge l’esterno della fiamma, ma è proprio la zona di cui stiamo parlando.

Per quanto possa sembrare controintuitivo, più la combustione è completa, di conseguenza più la temperatura è alta, e più il colore della fiamma tende verso toni del blu e del viola fino a diventare, in certi casi estremi, perfino trasparente. Ecco perché i fornelli casalinghi sono interamente blu: il metano viene premiscelato con aria in modo da bruciare completamente, perché altrimenti, se liberassimo metano incombusto in un ambiente chiuso, le cucine diventerebbero uno dei luoghi più pericolosi al mondo. 

Figura 1: i vari colori di una fiamma, dalla meno alla più calda (fonte: Spazzacamino Bert)

La zona più interna è quella a ridosso della punta dello stoppino. Qui è dove la cera liquida viene vaporizzata, ma non c’è abbastanza ossigeno per bruciarla tutta: la combustione è dunque incompleta. Questo ha due grandi conseguenze: la creazione di un nucleo di fiamma grigio giallognolo in corrispondenza dello stoppino e il rilascio di parecchie particelle di carbonio incombusto.

A metà tra le due zone appena descritte si sviluppa la parte più luminosa della fiamma, dal caratteristico colore giallo acceso. La luce deriva dall’incandescenza delle particelle di carbonio incombusto formatesi nella zona interna, ossia il principio per cui un oggetto normalmente opaco, quando portato ad alta temperatura, inizia ad emettere luce. È lo stesso fenomeno che accade nelle fucine degli artigiani, che per lavorare vetro o metalli li scaldano a tal punto da renderli incandescenti. Quindi la maggior parte della luce della fiamma non deriva affatto dalla combustione: scommetto che questo non lo sapevate!

Le particelle di incombusti sono anche le responsabili del fumo nero che si alza dalla candela, destinato a lasciare traccia del suo passaggio tramite l’odiosa fuliggine che si deposita su tutto ciò che tocca. Ma non tutto il male viene per nuocere: potete sfruttarla per sbalordire i vostri amici con un trucco di magia! Vi basterà spegnere una candela e subito dopo avvicinare un accendino alla colonna di fumo. Le particelle incombuste ora avranno la possibilità di bruciare e propagheranno la fiamma all’indietro fino a riaccenderla nuovamente. Lascerete tutti di stucco: il gioco vale la candela.

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Figura 2: sequenza di fotogrammi di un video in rete sul trucchetto della candela spenta… sorprendente! (fonte: VideoMan)

Fiamme dalle mille forme

La forma della fiamma è strettamente legata alla forza di gravità terrestre. Il calore della fiamma scalda l’aria circostante, rendendola meno densa e dunque più leggera. Essa tende dunque per gravità a spostarsi verso l’alto, attirando aria più fredda dal basso. Questa danza delle densità dona alla fiamma la caratteristica forma a goccia

Figura 3: mappa complessiva delle zone della fiamma e dei moti d’aria attorno (fonte: Micheal Faraday, The chemical history of a candle)

Ma cosa succederebbe se la gravità non ci fosse? Se lo è chiesto la NASA, che ha condotto degli esperimenti di fiamme libere in microgravità per testare la sicurezza delle navicelle spaziali in caso di incendio. Le immagini che hanno registrato sono interessantissime: in condizioni di gravità ridotta il moto delle masse d’aria non è possibile, dunque la fiamma è perfettamente sferica. Non potendo muoversi, l’ossigeno resta a contatto con la cera vaporizzata più a lungo: la combustione è migliore, dunque l’intera fiamma è blu. Ma anche l’anidride carbonica prodotta non si sposta: rimane nelle vicinanze della candela soffocando la fiamma, che è dunque più piccola e destinata ad avere vita più breve delle sue colleghe terrestri. Pericolo incendio scampato.

Figura 4: confronto tra una fiamma sulla Terra e una in condizioni di gravità ridotta (fonte: Seeker)

Chi l’avrebbe mai detto che dietro un oggetto all’apparenza così semplice si nascondesse così tanto studio! Micheal Faraday dedicò ben sei lezioni di divulgazione scientifica alla candela, che ebbero un successo così esorbitante da rendere lo scienziato il primo divulgatore scientifico di massa della storia. Concluse questo ciclo di conferenze con un buon auspicio per i suoi ascoltatori, che estendiamo a tutti voi: “Voglio esprimere il mio augurio che voi possiate, nella vostra vita, essere paragonati a una candela: che possiate brillare come essa, con una luce che illumini coloro che vi circondano”.

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Avatar Ilaria Giaccardo