Acceleratori di particelle per applicazioni biomediche

Il potere distruttivo dell’energia nucleare è ben radicato nell’immaginario comune: le immagini della devastazione delle bombe atomiche sono impossibili da dimenticare. Invece, il versante diametralmente opposto del nucleare, quello terapeutico e curativo, purtroppo, passa spesso inosservato. I nuclidi radioattivi sono dei preziosissimi alleati nella lotta ai tumori, ma quelli naturali hanno spesso un tempo di dimezzamento T1/2 particolarmente lungo, il che li rende di scarso interesse pratico per le applicazioni biomediche (ne abbiamo parlato a fondo nell’articoloI primi passi nella medicina nucleare). Per questo motivo, produrre nuclidi artificiali con tempi di dimezzamento decisamente più brevi, utilizzando gli acceleratori di particelle, è un’eccellente alternativa per la medicina nucleare. Così facendo, si ottengono nuclidi che forniscono un’azione mirata e garantiscono una facile espulsione dal corpo dopo l’iniezione nei pazienti.

Come funzionano gli acceleratori di particelle?

Gli acceleratori di particelle si basano sul fatto che le particelle nucleari, quando si muovono tra due elettrodi (es. due lastre con carica opposta), sono accelerate dalla differenza di potenziale che agisce tra queste superfici.

Essendo presente un campo elettrico E tra le due piastre, orientato da quella positiva verso quella negativa, un elettrone che attraversa questa zona sarà soggetto ad una forza elettrostatica (eq. 1):

\[\ \vec{F_{e}} = -e \vec{E} \]

L’elettrone, sentendosi spinto da questa forza, inizia ad accelerare sempre di più perché, come ci ricorda il caro Newton, forza ed accelerazione sono direttamente proporzionali. Piastra dopo piastra, le particelle vengono portate a velocità vertiginosamente alte, pronte per gli usi più disparati, tra i quali figurano quelli in campo medico. Facile? Non proprio.

La principale complicazione dal punto di vista tecnologico è legata alla difficoltà di ottenere grandissimi valori di velocità, poiché per farlo è necessario imporre differenze di potenziale nell’odine di qualche migliaio di Volts: più di 5 volte quella delle nostre prese di corrente!

Figura 1: funzionamento dell’acceleratore di particelle (fonte: Fm Boschetto)

È possibile definire due macro-famiglie di acceleratori di particelle: gli acceleratori lineari (LINAC) e gli acceleratori circolari. I primi sono più semplici a livello tecnologico, ma devono estendersi per chilometri: non proprio delle macchine tascabili! I secondi sono più compatti ma decisamente più complicati a livello impiantistico, necessitando di introdurre campi magnetici per funzionare.

Esistono varie tipologie di acceleratori circolari: il ciclotrone, il sincrotrone ed il ciclotrone isocrono. Ma prima di proseguire, è bene chiarire il significato di un’unità di misura che incontreremo molto spesso, perché fondamentale nel mondo particellare: l’elettronvolt (eV). Un elettronvolt rappresenta l’energia richiesta per accelerare un elettrone sottoposto ad una differenza di potenziale di 1 Volt. Se si vuole ottenere tot elettronvolts è necessario applicare al sistema tot differenza di potenziale: 1 Volt per avere 1 eV, 1000 Volts per ottenere 1000 eV e così via.

 Figura 2: Definizione di electronVolt (fonte: Euronuclear)

Il ciclotrone

Il ciclotrone (Figura 3a) è un acceleratore di particelle circolare, progettato da Ernest O. Lawrence tra il 1929 e 1930, con il compito di accelerare fasci di particelle cariche lontano dal centro secondo una traiettoria a spirale. Per farlo si sfruttano un campo elettrico a radiofrequenza e un campo magnetico statico.

Il cuore del sistema è composto da due elettrodi metallici cavi a forma di D chiamati dees posizionati all’interno di una camera a vuoto (Figura 3b). Tra di loro si sviluppa un’alta differenza di potenziale. Inoltre, sono separati da uno stretto passaggio cilindrico per consentire il moto delle particelle.

Figura 3a: Schema di funzionamento del ciclotrone visto dall’alto (fonte: Oncology Medical Physicists)
Figura 3b: I dees del ciclotrone visti dall’alto (fonte: Virtuelle Experimente

I dees sono racchiusi tra i due poli di un grande elettromagnete, come se la struttura fosse un succulento panino magnetico. Le particelle sono posizionate al centro e, a causa del campo magnetico statico B, risentono della forza di Lorentz, che li mette in moto seguendo una traiettoria curva (Figura 4a). Ogni volta che la particella attraversa lo spazio tra i dees, la differenza di potenziale ne aumenta la sua velocità e, conseguentemente, il raggio della traiettoria: il moto risultante è una sorta di percorso elicoidale (Figura 4b).

Figura 4a: Schema di funzionamento del ciclotrone con vista laterale (fonte: Hyperphysicis)
Figura 4b: Voltaggio e polarità del ciclotrone con vista dall’alto (fonte: Hyperphysicis)

Tutto questo ragionamento sta in piedi fino a quando la velocità della particella è sufficientemente lontana da quella della luce. Quando si entra in campo relativistico invece, è necessario sincronizzare il moto circolare della particella con la radiofrequenza del campo elettrico. Esistono due diverse soluzioni al problema: cambiare dinamicamente la radiofrequenza, come accade nei sincrotroni, o variare il campo magnetico lungo il raggio del dispositivo, come nel ciclotrone isocrono. Grazie a questi sistemi, si può premere l’acceleratore senza paura di incappare nell’autovelox relativistico.

Il sincrotrone

È interessante andare a studiare nel dettaglio come funziona il sincrotrone, poiché è uno strumento necessario per praticare l’adroterapia, una delle più recenti innovazioni nel campo della medicina nucleare, in grado di rivoluzionare il nostro approccio verso i tumori.

Il compito del sincrotrone è quello di separare gli atomi e creare fasci di particelle subatomiche che, nel caso dell’adroterapia, vengono direzionati verso le cellule tumorali da distruggere.

All’interno della macchina, un sottile anello di magneti genera il campo magnetico necessario a guidare le particelle. Questo campo è variabile nel tempo per controbilanciare il cambiamento di massa delle particelle. Nel mondo della relatività, infatti, massa ed energia sono strettamente legate tramite la famosa equazione E = mc2 (anche se non l’avete mai studiata sicuramente avrete visto innumerevoli tazze e magliette con questa formula, forse la più famosa del mondo).

L’accelerazione è possibile sempre tramite un campo magnetico a radiofrequenza, prodotto mediante una cavità risonante situata in uno specifico punto lungo la traiettoria circolare. Le particelle fluiscono ripetutamente attraverso questa cavità, accumulando una quantità incrementale di energia cinetica durante ciascun passaggio. Uno schema semplificato della macchina è riportato in Figura 5.

Figura 5: Sincrotrone. Sezione verticale a sinistra, vista dall’alto a destra (fonte: libro di Ervin B. Podgoršak)

A differenza dei ciclotroni, i quali mostrano un limite fisso di energia, i sincrotroni possono variare l’energia delle particelle accelerate regolando la frequenza dei campi elettrici a radiofrequenza. Questa flessibilità è necessaria per raggiungere un ampio range di livelli energetici.

I sincrotroni svolgono un ruolo cruciale per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche in numerose discipline. Hanno contribuito ad importanti scoperte nella fisica, chimica e biologia, così come hanno reso possibile lo sviluppo di nuovi materiali e prodotti farmaceutici. Si può quindi affermare senza dubbio che siano degli acceleratori di particelle particolarmente versatili. La loro capacità di fornire livelli di energia variabile e raggi luminosi altamente allineati, che in gergo di si dice “collimati”, li rende degli strumenti essenziali nella ricerca moderna e nell’avanzamento della tecnologia.

L’adroterapia e il CNAO, eccellenza tutta italiana

L’adroterapia è un trattamento di frontiera nell’ambito della lotta ai tumori, basata sull’irraggiamento di un fascio di ioni provenienti da un acceleratore di particelle. Il prefisso “adron” deriva dal tipo di particelle utilizzate, chiamate per l’appunto adroni: una grande famiglia che raccoglie tutti i corpuscoli costituiti da parti ancora più piccole chiamate quarks. Avete presente Superquark, il celebre programma scientifico condotto dal compianto Piero Angela? Ora sapete da dove arriva il suo nome.

Tornando a noi, adottando questo trattamento medico risulta molto più facile raggiungere le cellule cancerose rispetto ai classici raggi-X. Infatti, in quest’ultimo caso, un’ampia quantità di energia viene rilasciata nei tessuti normali, anziché in quelli tumorali.

Richiedendo l’uso dei sincrotroni, macchine costose e voluminose, non tutti i centri medici possono sfruttare questa tecnologia. In Italia ci sono ben tre strutture a disposizione: il centro di protonterapia a Trento (il più recente), il centro CATANA a Catania (il più antico, specializzato nella cura dei tumori agli occhi) e il Centro Nazionale di Adronterapia Oncologica (CNAO) a Pavia. Quest’ultimo è l’unico nel nostro Paese in grado di estrarre ioni carbonio, le particelle più performanti nel trattare i tumori inoperabili e resistenti alla tradizionale radioterapia, ed è stato concepito specificatamente per i trattamenti clinici ai pazienti.

Il sincrotrone del CNAO, collocato in un bunker di 1600 m2 nelle viscere dello stabilimento (Figura 6), è un anello dal diametro 25 m e con una circonferenza di 80 m. È schermato dalla restante parte della struttura da muri di cemento tra i 2 e i 6 m di spessore.

All’interno della circonferenza del ciclotrone vi sono due sorgenti che generano i fasci di particelle necessari per la sessione di adroterapia. Vengono creati strappando gli elettroni agli atomi dei gas presenti, generando il plasma: il quarto stadio della materia. Sfruttando i campi magnetici e le radiofrequenze, i protoni e gli ioni degli atomi di carbonio vengono estratti generando dei pacchetti di fasci di particelle, ciascuno dei quali ne contiene miliardi.

Questi pacchetti entrano nel sincrotrone ad una velocità di circa 30000 km/s. Per provare a quantificarla, equivale a percorrere la distanza tra Torino e Singapore 3 volte in 1 secondo! Eppure non basta: all’interno della macchina questa velocità viene raddoppiata, così i pacchetti impiegano solo mezzo secondo per coprire gli stessi 30000 km! Questi numeri da capogiro sono necessari per raggiungere l’energia necessaria per danneggiare il DNA delle cellule tumorali, affinché le cellule muoiano e vengano eliminate dal sistema immunitario. Il fascio opera con una precisione di due decimi di millimetro. Per essere così accurati è necessario un continuo monitoraggio del paziente, sfruttando videocamere ad infrarossi per misurare i movimenti tridimensionali e due magneti di scansione che muovono il fascio lungo il contorno del tumore, come fosse una spazzola. L’intero processo di irraggiamento impiega soltanto pochi minuti, mentre il numero di sessioni varia caso per caso.

Figura 6: Sincrotrone per trattamenti di adroterapia al CNAO di Pavia (fonte: Fondazione CNAO)

Come funziona la prontoterapia?

Abbiamo detto che l’adroterapia sfrutta vari tipi di particelle. Se si utilizzano i protoni, il trattamento prende il nome di protonterapia: una tecnica ancora più precisa, in grado di selezionare esclusivamente la massa tumorale e risparmiare i tessuti sani, rilasciando la propria energia in maniera altamente selettiva. Mentre il fascio di particelle procede attraverso il corpo del paziente, esso rallenta gradualmente finché non raggiunge il punto necessario per fermarsi, noto come Bragg Peak (Figura 7), che nella protonterapia è collocato esattamente sul tumore, grazie all’estrema collimazione del fascio, risparmiando i tessuti sani circostanti.

Figura 7: Principi della protonterapia: il Bragg Peak (fonte: Samsung Medical Center)

La protonterapia è principalmente indicata per quei tumori che non rispondano adeguatamente ai trattamenti convenzionali con i raggi-X. È anche utilizzata per i tumori stanziati in posizioni complicate, come quelli alla base del cranio, dove la precisione risulta cruciale per evitare danni alle delicate strutture circostanti, come nervi e vasi sanguigni. È il caso di dirlo: la protonterapia è un vero e proprio cecchino nucleare.

Conclusioni

L’adroterapia è una tecnica medica dalle potenzialità straordinarie e, grazie agli acceleratori di particelle di tipo medicale presenti in Italia, sempre più persone potranno usufruirne. Resta però il fatto che complessità tecnologica e costi non siano dalla sua parte… Per questo motivo altre tecniche, più tradizionali ma non per questo non degne di ulteriore studio ed innovazione, rimangono delle validissime alternative nella lotta contro i tumori.

Matteo Agati & Gabriele Galasso

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