Brachiterapia e Radioembolizzazione: nuovi trattamenti per il cancro

Siamo giunti quasi a conclusione di questo straordinario viaggio alla scoperta dei principali strumenti di difesa contro il cancro che ci sono offerti dalla medicina nucleare… “but there’s one more thing”, come direbbe il caro Steve Jobs. È giunto il momento di fare un passo indietro. Auspichiamo che in questo modo, caro lettore, potrai assumere una visione globale sulla medicina nucleare e di tutte le tecnologie ad essa afferenti. La radioterapia rappresenta l’insieme di trattamenti per uccidere le cellule tumorali attraverso l’uso delle radiazioni. Essendo coinvolte numerose tecnologie, può essere utile classificare le diverse cure mediche nucleari in base ad alcuni parametri di riferimento. Un’importante distinzione riguarda la “posizione” delle sorgenti particellari che emettono radiazioni: la radioterapia esterna da un lato e la radioterapia interna (come la brachiterapia dall’altro (Figura 1).

Figura 1: Trattamenti basati sulla radioterapia interna: i principali tessuti targets (Fonte: houstonmethodist.org)

La radioterapia esterna ed interna

Nella radioterapia esterna (o EBRT, Radioterapia Esterna al Corpo), il corpo del paziente è soggetto ad un fascio di particelle originato da una sorgente esterna. In questa famiglia sono compresi i raggi-X (LeggiTecnica a raggi-X per applicazioni biomediche), le radiazioni gamma, gli elettroni ad alta energia e altre particelle, come adroni e protoni, adoperate rispettivamente nell’adronterapia e nella protonterapia (due trattamenti di cui abbiamo parlato approfonditamente nell’articolo Acceleratori di particelle per applicazioni biomediche).

Tuttavia, se la sorgente è esterna e, se il tumore si trova in profondità nel corpo, la radiazione deve viaggiare attraverso molti tessuti sani, con un elevato rischio di danneggiarli prima ancora di colpire il target.

Questo problema può essere aggirato utilizzando la radioterapia interna, in cui la sorgente della radiazione è posizionata all’interno del corpo del paziente e può essere una sorgente sigillata (come nella brachiterapia) o una sorgente aperta.

  • Nel primo caso, una ridotta quantità di radionuclidi ad alta attività sono concentrati e collocati in corrispondenza della regione tumorale, seguendo una procedura ben definita. È importante ricordare che l’attività per un radionuclide rappresenta il numero di decadimenti per unità di tempo a cui va incontro. Si può misurare in Becquerel (1 Bq = 1 decadimento/s) o in Curie (1 Ci = 37 GBq).
  • Nel secondo caso, i radionuclidi sono iniettati per via sistemica nel corpo (ad esempio, attraverso i vasi sanguigni). Successivamente vengono concentrati nella zona tumorale, come accade con i radiofarmaci. La sfida legata a questo trattamento è assicurarsi che gli isotopi dei radionuclidi riescano a ionizzarsi.

La distinzione non è però così netta, per cui situazioni intermedie sono accettate (un esempio di questi casi ibridi è l’iniettare radionuclidi contenuti all’interno di microsfere di Ittrio-90, in grado di localizzarsi in prossimità dei tumori).

La Brachiterapia

Questa famiglia di trattamenti rientra nella famiglia della radioterapia interna. Il nome prende origine da “brachy”, un termine greco con il significato di “a distanza ridotta”. Adottando questa tecnica, una volta che la sorgente viene posizionata in prossimità del tumore, essa agisce in un range di alcuni millimetri. In questo modo, l’effetto principale della radiazione rimane confinato in un volume ridotto intorno alla sorgente, limitando significativamente il danno ai tessuti sani.

La dose risultante rilasciata alle cellule cancerose è più alta e più rapida rispetto alla radioterapia esterna. Inoltre, un numero ridotto di sessioni può risultare sufficiente per evitare il ripopolamento del cancro negli stessi tessuti. Nonostante ciò, si raccomanda di utilizzare questa tecnica in quelle situazioni in cui il cancro sia piccolo e perfettamente localizzato.

Un ampio numero di tumori può essere curato mediante questa tecnica, come i tumori alla prostata, ginecologici, al petto (vedi Figura 2), alla testa o al collo ed alla pelle.

Figura 2: La Brachiterapia per I Primi-Stadi del Cancro al Petto (Fonte: verywellhealth.com)

Classificazione dei trattamenti di brachiterapia

Un ampio numero di classificazioni per i trattamenti medici facenti uso della brachiterapia può essere definito:

  • Approccio chirurgico:
    • interstiziale: la sorgente radioattiva è posizionata esattamente in corrispondenza del tessuto target;
    • intracavitario: la sorgente radioattiva, posizionata all’interno di una sorta di “scatola” di contenimento, è collocata all’interno di una cavità, in prossimità del target tumorale (ad esempio, il naso, la bocca, le orecchie, ecc.);
    • transluminale: la sorgente radioattiva è posta all’interno di un “scatola” di contenimento e fluisce all’interno di un certo “condotto” (ad esempio, l’esofago), come accade in Figura 3a ed in Figura 3b;
    • a stampo: la sorgente radioattiva è applicata su di una superficie (ad esempio, la pelle o una membrana mucosa).
  • Tempo di rilascio di una dose:
    • temporaneo: dopo il termine del trattamento, la sorgente viene rimossa dal corpo del paziente;
    • permanente: la sorgente rimane all’interno del corpo del paziente fino a quando la radioattività non si estingue da sé.
  • Caricamento della sorgente:
    • pre-caricata (noto anche come “caricamento a caldo”): quando iniettata, la sorgente radioattiva è già posizionata all’interno della “scatola” di contenimento. In queste situazioni, il chirurgo operante il trattamento viene esposto a radiazioni e, pertanto, tale approccio è possibile soltanto per sorgenti a bassa-dose;
    • post-caricata manualmente: quando iniettata, la “scatola” di contenimento non trasporta la sorgente radioattiva, la quale viene successivamente posizionata a mano;
    • post-caricata a distanza: un sistema di smistamento (ad esempio, un robot chirurgico) posiziona la sorgente radioattiva all’interno del corpo del paziente. Il perfezionamento di quest’ultima tecnica ha favorito un’ampia diffusione della brachiterapia.
Figura 3a: Un trattamento chirurgico transluminale: La Brachiterpia per il Mesotelioma; Selby, K., 7 Luglio 2023. Brachytherapy for Mesothelioma (Fonte: asbestos.com)
Figura 3b: Target finale per la dose iniettata per mezzo di un Broncoscopio (Fonte: cirse.org)

Quali sono i radionuclidi adottati nella brachiterapia?

Il primo radionuclide ad essere proposto per la brachiterapia fu un isotopo del Radio (Ra-226, un emettitore alpha). A causa della sua ridotta attività e della volatilità del prodotto della reazione (un isotopo del Radon, Rn-222, un gas difficile da confinare), è stato presto abbandonato.

Al giorno d’oggi, vengono usati principalmente due isotopi del Cesio: Cs-131 ed il Cs-137. Un’altra opzione è rappresentata da un isotopo del Cobalto (Co-60). Infine, è doveroso menzionare il contributo di due isotopi dello Iodio: I-125 e I-131.

La Radioembolizzazione

La Radioembolizzazione è una tecnica innovativa per la radioterapia interna e sfrutta una soluzione intermedia tra una sorgente chiusa ed una aperta. Fa uso di microsfere con raggio di pochi micrometri contenenti nuclidi radioattivi dell’Ittrio-90.

La radioembolizzazione nel fegato

A differenza di altri organi, dove è possibile osservare un’arteria in ingresso ed una vena in uscita, il fegato è caratterizzato da due ingressi (un’arteria epatica ed una vena porta) ed un’uscita (la vena epatica).

A ciascun vertice degli epatociti esagonali (le cellule del fegato, vedi Figura 4a), gli ingressi sono rappresentati da un’arteriola dell’arteria epatica ed una venula della vena porta, mentre l’uscita è esclusivamente data da una venula della vena epatica. In caso di tumore al fegato, in una parte di quest’organo, gli epatociti sono sostituiti dalle cellule del cancro. Queste cellule sono esclusivamente alimentate da un’arteria epatica.

Il collegamento con le vene porte è caratteristico degli epatociti e non delle cellule tumorali.

Questa caratteristica sta alla base del meccanismo di embolizzazione, che cerca di uccidere le cellule del cancro in due modi diversi: embolizzazione convenzionale e radioembolizzazione.

L’anatomia del fegato è riportata in Figura 4b, mentre in Figura 4c è mostrato uno schema degli ingressi ed uscite del fegato.

Figura 4a: La struttura di un normale epatocita (Fonte: mauromarchetti.it)
Figura 4b: Anatomia interna del fegato umano (Fonte: stock.adobe.com)
4c: Arteria Epatica e Vena Porta (ingressi) e Vena (uscita) (Fonte: BioNinja.com)

L’embolizzazione convenzionale

L’embolizzazione convenzionale consiste nell’iniettare microsfere non-radioattive dal diametro di 5 – 10 micrometri (più grande dei capillari) all’interno delle arteriole delle arterie epatiche, con l’obiettivo di ostruire i piccoli capillari che portano nutrimento alle cellule tumorali, portandole inesorabilmente a necrosi. In questo modo sopravvivono solo le cellule sane del fegato, alimentate prettamente non dai capillari ma dalle vene porte, senza essere intaccate dalla procedura. La procedura tecnica è descritta in Figura 5.

Figura 5: Preparazione del corpo del paziente per l’embolizzazione convenzionale (Fonte: usaoncologycenters.com)

Radioembolizzazione da Y-90

La radioembolizzazione si basa sull’iniezione di microsfere radioattive in modo tale da incrementare la probabilità di uccidere le cellule cancerose. Il più importante isotopo adottato in questo campo è l’Ittrio-90, contenuto all’interno di microsfere e ben coibentato. Il percorso delle sferette di Y-90 è schematizzato in Figura 6.

Figura 6: D. Viñal, A. Minaya-Bravo, I. Prieto et al. “Radioembolizzazione transarteriale da Ittrio-90 in pazienti affetti da tumori gastrointestinali”. Clin Transl Oncol 24, 796–808 (2022) (Fonte: springer.com)

L’Y-90 decade maggiormente per effetto di un decadimento β diretto nello stabile Zirconio-90, con un tempo di dimezzamento T_1/2 di circa 64 h. Gli elettroni emessi dalla reazione rilasciano energia per pochi millimetri di distanza, per cui sono in grado di distruggere le cellule del cancro. La catena di decadimento è schematizzata in Figura 7. Sono possibili due diversi percorsi per il decadimento, ma in questo campo quello di interesse coinvolge esclusivamente un decadimento β.

Figura 7:Catena di decadimento radioattivo da Y-90 con le associate probabilità, (Fonte: CastroMarina.com)

A causa del ridotto tempo di dimezzamento, l’Y-90 non si trova in natura. Ciò indica che deve essere prodotto per altre vie: una delle più invitanti è il decadimento β da Sr-90 che avviene all’interno dei reattori nucleari.

Conclusioni

La radioterapia è un termine che include vari trattamenti, suddivisi in due grandi famiglie: la radioterapia esterna (EBRT) e la radioterapia interna (con sorgente sigillata, come accade per la brachiterapia, o sorgente aperta), con ampio margine per situazioni intermedie.

Nella brachiterapia, la sorgente radioattiva è posizionata in prossimità del tumore (grazie a una sua localizzazione perfetta) ed agisce in un piccolo volume per evitare danni ai tessuti sani.

D’altro canto, il trattamento di radioembolizzazione è un passaggio intermedio tra la radioterapia interna ed esterna e  considera due diversi trattamenti medici: l’embolizzazione convenzionale e la radioembolizzazione. La medicina nucleare non si limita di certo alle tecniche citate negli ultimi 4 articoli e meriterebbe un’analisi molto più rigorosa di quella finora presentata poiché sempre nuovi studi emergono all’orizzonte. Già… proprio perché l’energia, fattore comune a tutte le moderne tecnologie biomediche, permea anche tutti gli ambiti del nostro quotidiano. Che cosa ci riserverà il futuro?

Matteo Agati & Gabriele Galasso

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