La letteratura inglese e l’inquinamento

Nella seconda metà del 1700 la letteratura inglese ha iniziato ad interrogarsi sui cambiamenti che la prima rivoluzione industriale stava generando nella società del tempo. Così come per tutte le grandi rivoluzioni avvenute in passato, anche questa ha avuto origine grazie all’intersezione di varie condizioni, tra cui: la ricerca scientifica, la rete di trasporti, il commercio interno ed internazionale, e così via. Tra le invenzioni tecnologiche che più hanno reso possibile lo sbocciare della rivoluzione troviamo la macchina a vapore. Inventata da James Watt tra il 1765 e 1781, questa nuova tecnologia, rese possibile un aumento di produzione energetica grazie all’incremento dell’estrazione del carbone dalle miniere.

Nel 1814 a George Stephenson si deve la creazione di una locomotiva che diede la spinta ad inaugurare in Inghilterra nel 1825 la prima linea ferroviaria. Altra principale invenzione fu il telegrafo, rendendo possibile la comunicazione di messaggi a distanza tra le persone. Per circa cento anni l’Inghilterra ha mantenuto il suo primato industriale. Su questo sfondo storico ci chiediamo, come la rivoluzione industriale, e dunque l’inquinamento, abbia cambiato la letteratura inglese?

L’influenza dell’utilitarismo britannico sulla letteratura inglese

Nella cultura filosofica britannica dell’Ottocento si affermò l’utilitarismo, dottrina etica che rimanda agli scritti di Jeremy Bentham, filosofo e riformatore sociale. Volendo riassumere il cuore di questa filosofia potremmo dire che essa è l’etica secondo la quale il bene si identifica con l’utile. Credo si comincino già ad intuire le pericolose conseguenze che questo tipo di etica potrebbe comportare…

Immaginate di trovarvi in una cittadina grigia e uniforme in cui vige per lo più l’etica dell’utilitarismo, questo è il posto che fa da sfondo al romanzo di Charles Dickens Hard Times (Tempi Difficili) pubblicato nel 1854. La città in questione è Coketown (letteralmente “città del carbone”) in cui vive il nostro protagonista Thomas Gradgrind, che fonda una scuola basata su uno stile di vita rigido e monotono, che lascia ben poco spazio alla fantasia. Il personaggio di Gradgrind viene messo sin da subito in contrasto con quello di Sissy Jupe, una sua alunna e figlia di un domatore di cavalli e veterinario del circo equestre. Uno degli argomenti su cui è incentrato il romanzo è la lotta tra fantasia (rappresentata da Sissy) e fatti.

Hard times

La maggior parte degli abitanti di Coketown conduce uno stile di vita meccanico e uniforme senza lasciare spazio all’immaginazione, ma per l’autore la fantasia è un elemento insostituibile dell’essere umano. Alla fine del romanzo lo stesso Gradgrind capisce quanto il suo mondo sia limitato. La ragione non basta, anche se nel romanzo si fa di tutto per far assomigliare gli uomini sempre più a delle macchine, ciò è impossibile. Di seguito un estratto.

“Era una città di mattoni rossi, o meglio di mattoni che sarebbero stati rossi se il fumo e la cenere lo avessero permesso; […] Era una città di macchinari e di lunghe ciminiere, dalle quali strisciavano perennemente interminabili serpenti di fumo, che non si srotolavano mai. […] il pistone della macchina a vapore andava su e giù con monotonia, come la testa d’un elefante colto da una pazzia malinconica.”

Figura 1: La città industriale (fonte: contropiede.eu)

La terra desolata di Eliot

The Waste Land (La Terra Desolata) è un poemetto di Thomas Stearns Eliot pubblicata nel 1922 sulla rivista The Criterion, considerato un capolavoro della letteratura inglese moderna. Il tema principale di questo poemetto è la crisi della società occidentale che si è per l’appunto ridotta a una “terra desolata”. Sono presenti svariati riferimenti all’interno di questo lavoro, da Dante ai miti celtici passando per i riti pagani, consacrando quest’opera come pietra miliare di tutta la letteratura del Novecento.

Il protagonista di questa storia non appare ai nostri occhi come una persona in carne ed ossa bensì come un’entità fatiscente. Questa figura oscilla sullo sfondo di una città che Eliot definisce sporca ed irreale. Un fiume passa per la città trasportando con sé detriti, in lontananza appaiono degli uomini che si ergono da una fitta nebbia accecati da una fame carnale. L’atmosfera che ci viene presentata è da incubo e non a caso gli uomini vengono paragonati ai dannati che Dante vide all’Inferno. Di seguito un estratto.

Unreal city,
Under the brown fog of a winter dawn,
A crowed flore over London Bridge, so many,
I had not thought death had undone so many.

Città irreale,
Sotto la nebbia bruna di un’alba d’inverno
Una gran folla fluiva sopra il London Bridge, così tanta,
Ch’i non avrei mai creduto che morte tanta n’avesse disfatta.

London

Ci troviamo ora nella Londra della seconda metà del Settecento, una città industriale aspramente criticata dall’autore che a breve presenteremo. London (Londra) è una poesia inglese scritta da William Blake pubblicata nella raccolta Songs of experience del 1794 e rappresenta una delle prime testimonianze nella letteratura inglese del disagio umano imperante nella Londra del XVIII secolo. Anche qui, come a Coketown, tutto gira attorno ai beni materiali e alla produzione economica. Passeggiando per le strade di Londra l’autore comincia a snocciolare delle considerazioni personali scaturite dalla condizione di debolezza in cùui versa la popolazione a causa dell’industrializzazione. La fuliggine che aleggia sulla città annerisce i muri delle abitazioni e copre come una patina i volti disillusi dei cittadini. Di seguito l’intera poesia.

I wander thro’ each charter’d street,
Near where the charter’d Thames does flow.
And mark in every face I meet
Marks of weakness, marks of woe.

In every cry of every Man,
In every Infants cry of fear,
In every voice: in every ban,
The mind-forg’d manacles I hear

How the Chimney-sweepers cry
Every black’ning Church appalls,
And the hapless Soldiers sigh
Runs in blood down Palace walls

But most thro’ midnight streets I hear
How the youthful Harlots curse
Blasts the new-born Infants tear
And blights with plagues the Marriage hearse”

Io vago attraverso le strade monopolizzate commercialmente,
Vicino a dove scorre il Tamigi monopolizzato,
E noto in ogni faccia che incontro
 Segni di debolezza, segni di dolore.

In ogni pianto di ogni uomo,
In ogni pianto infantile di paura,
In ogni voce: in ogni divieto,
Sento le manette forgiate dalla mente.

Come il pianto dello spazzacamino
Atterrisce ogni chiesa annerita
E il sospiro del soldato sfortunato
Scorre in sangue lungo i muri del palazzo.

Ma soprattutto attraverso le strade a mezzanotte sento
Come la maledizione della giovane prostituta
Distrugge la Lacrima dell’infante neonato,
E rovina con pestilenze il carro funebre del matrimonio.

Figura 2: Spazzacamino bambino (fonte: Historic UK)

Conclusione

La rivoluzione industriale è stata una tappa fondamentale nella storia dell’uomo che ha reso possibile una vera e propria trasformazione economica, passando da un’economia prettamente agricola ad un’altra basata sulla produzione industriale. Per non parlare dei cambiamenti sociali: la nascita delle fabbriche ha portato ad uno spostamento di massa dalle campagne alle città. Oggigiorno ci sembra quasi scontato che il lavoro sia segnato da orari fissi e lavori specializzati ma prima dell’avvento della rivoluzione industriale questa distinzione non era così netta. Insomma è chiaro che questo evento, cominciato in Inghilterra, ha cambiato il volto della società e ha reso possibile il fiorire del capitalismo. Ma l’altra faccia della medaglia del progresso è senza dubbio l’impatto negativo che ha riservato all’ambiente e di conseguenza anche all’uomo.

Tutte le nostre azioni hanno delle conseguenze ma la storia, la letteratura, l’arte ci vengono in soccorso avvisandoci dei terribili effetti che potrebbero comportare. Forse delle volte è bene fermarsi ad osservare gli errori del passato, non per ripeterli, ma per provare a costruire un futuro migliore.

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