Come l’inquinamento ha influenzato la letteratura italiana?

Quando si pensa all’inquinamento si immaginano particelle invisibili sospese in aria che cercano incessantemente di attaccare e otturare le nostre vie respiratorie, oppure distese infinite di plastica situate negli oceani, quasi a voler ricreare una nuova terra emersa. Oggigiorno il termine “inquinamento” ci appare molto formale: né si parla riguardo le falde acquifere, l’atmosfera, lo si usa addirittura in campo giuridico, nell’espressione “inquinamento delle prove”. Ma se vi dicessi che in verità tale espressione aveva un’accezione ben diversa nel mondo latino? Inquinamento deriva dal latino inquinàre formato dalla stessa radice del volgare cunìre che significa defecare. Dunque, il termine faceva riferimento alla ripugnanza fecale e non di certo a delle particelle invisibili.

L’inquinamento ha cambiato il modo di vedere il mondo, è riuscito ad influenzare l’arte e la letteratura. La domanda che ci poniamo è: in che modo ci è riuscito? Ci sono dei casi in cui un autore ha saputo prevedere il futuro che stiamo vivendo?

Alle origini con Parini

La rivoluzione industriale ha avuto inizio nella seconda metà del XVIII secolo, esattamente nel 1760, in Gran Bretagna. Dopo tale grande evento la “città inquinata” ha preso prepotentemente piede nella letteratura inglese e non solo. Un caso sorprendente è quello di Giuseppe Parini. Quest’ultimo, già nel 1759 denunciava l’inquinamento ambientale che vigeva nella Milano di allora attraverso il componimento poetico La salubrità dell’aria. L’ode sostiene la necessità di migliorare le condizioni igieniche milanesi di metà Settecento. Parini, come spesso piace fare agli autori, mette in contrapposizione il paesaggio verde della campagna brianzola con la grigia e inquinata città.

Nella Milano che descrive Parini i cittadini languiscono mortalmente pallidi per l’aria fetida che si alza dalle risaie, luogo ideale di incubazione della malaria. Di seguito un piccolo estratto dell’ode.

Pèra colui che primo
a le triste oziose
acque e al fetido limo
la mia cittade espose;
e per lucro ebbe a vile
la salute civile.
[…]
Mira dipinti in viso
di mortali pallori
entro al mal nato riso
40 i languenti cultori;
e trema, o cittadino,
che a te il soffri vicino.
Muoia colui che per primo
espose Milano
alle infide acque stagnanti
e al fango maleodorante;
e per guadagno disprezzò
la salute dei cittadini.
[…]
Guarda i coltivatori contaminati,
segnati in viso
dal pallore mortale
in mezzo al riso maledetto;
e trema, o cittadino,
perché sopporti di averlo vicino.

L’inquinamento attraverso gli occhi di Calvino

Durante la fine degli anni Cinquanta, nel periodo del “miracolo economico”, tra le menti italiane si inizia a instillare il pericolo dell’inquinamento. Tra queste spicca il nome di Italo Calvino. Quest’ultimo se ne occupa attraverso un racconto intitolato La nuvola di smog. Pubblicato nel 1958, il protagonista della storia decide di spostarsi in una città industriale in cui una nuvola di smog aleggia indisturbata. Elementi focali di questo racconto sono senz’altro la polvere e la sporcizia che riescono ad insinuarsi dappertutto. Nonostante il protagonista viva quotidianamente in questa condizione, si accorgerà veramente dello stato di emergenza durante una gita in collina, momento in cui la nuvola di smog è visibile ad occhio nudo.

Una delle particolarità di questo racconto è che il protagonista non ha un nome, così come non è specificata la città in cui ha luogo tale storia, rendendo ancora più semplice immedesimarsi nel racconto, che descrive con spaventosa accuratezza la nostra situazione attuale. L’aria inquinata diventa un pensiero fisso per il personaggio principale, rendendolo insofferente. Cerca invano di mostrare ai suoi colleghi quanta polvere risiede attorno a loro, sulle facciate delle case e sui volti dei passanti, ma l’indifferenza generale grava ancor più della nuvola di smog. Di seguito un estratto del racconto.

“Il corso normale delle stagioni pareva cambiato, densi cicloni percorrevano l’Europa, l’inizio dell’estate era segnato da giorni carichi d’elettricità, poi da settimane di pioggia, da calori improvvisi e da improvvisi ritorni d’un freddo come di marzo. I giornali escludevano che in questi disordini atmosferici potessero entrare gli effetti delle bombe; solo qualche solitario scienziato pareva lo sostenesse (di cui peraltro era difficile stabilire se dava affidamento) e insieme la voce anonima del popolino, pronta sempre, si sa, a fare un’accozzaglia delle cose più disparate. […] Del tempo adesso si evitava di parlare, o dovendo dire che pioveva o che s’era schiarito s’era presi da una specie di vergogna, come si tacesse qualche nostra oscura responsabilità”.
Figura 1: Città industriale (fonte: news.sky.com)

Versicoli quasi ecologici

Titolo provocatorio quello scelto da Giorgio Caproni per la sua poesia Versicoli quasi ecologici, pubblicata postuma nel 1991. Inserita nella raccolta Res Amissa, dal latino “Cosa Perduta”, il titolo evoca già al tema profondo della lirica. Una frase in particolare colpisce:

“Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra”

Così si chiude la poesia. Un rapporto deleterio quello presente tra l’uomo e la natura, il sottolineare come tutto sarebbe più bello senza la nostra presenza, questo perché siamo stati gli unici esseri viventi a non riuscire a vivere in armonia con quello che ci è stato dato. Accecati dall’egoismo e dal lucro non riusciamo a soffermarci e a riflettere, non riusciamo ad essere grati e a conservare il dono più bello che ci hanno regalato, la vita.

Figura 2: I giardini perduti di Heligan, Pentewan, St Austell, Cornovaglia, Regno Unito (fonte: British Heritage Travel)

È sempre affascinante osservare come il mondo della letteratura e dell’arte reagiscono alle varie fasi evolutive dell’uomo. Spesso si rimane stupefatti di fronte a casi di previsione del futuro, come nel caso di Parini. È probabile che solo le menti più empatiche riescano a vedere al di là degli altri, solo le persone con una particolare sensibilità riescono a comprendere pienamente non solo le attuali problematiche ma anche quelle future. Credo sia una manifestazione d’amore il preoccuparsi e l’agire per proteggere il futuro di bambini non ancora nati. Parini, Calvino e Caproni l’hanno fatto, adesso tocca a noi.

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