Materiali superconduttori per ITER

Il nostro viaggio alla scoperta dei Tokamaks (Riferimento all’articolo “Dove ci porterà la fusione nucleare?)! Prima di salutarci per “altri viaggi ed altre avventure”, come direbbe il buon Alberto Angela, è nostra ferma intenzione scoprire quale sia la chiave di volta, in grado di rendere le macchine a fusione una realtà tangibile. “Confinare il plasma”… è questa l’espressione che si ritrova in qualunque libro o sito web che parli della Fusione Nucleare. Senza i materiali superconduttori, questo concetto rimarrebbe privo di significato, relegando questa nuova frontiera della scienza ad un semplice sogno nel cassetto. Ma da dove nasce la superconduttività e in che modo si assemblano i superconduttori? Siediti comodo, caro lettore, perché avrai presto la risposta!

La superconduttività

È ben noto che in un metallo conduttore (ad esempio il rame) le collisioni tra gli atomi generano una certa resistenza al passaggio di corrente (effetto Joule) e questo fenomeno dà origine a del calore che dovrà essere successivamente dissipato. Tuttavia, esistono dei materiali particolari in cui questo tasso di perdite è relativamente basso. Parliamo dei materiali superconduttori!

Il loro grande vantaggio è per l’appunto legato alla loro capacità di portare a zero la resistenza elettrica, con la conseguente assenza di calore generato. Allo stesso tempo, essi agevolano il passaggio di elevate intensità di corrente, con una conseguente generazione di alti campi magnetici.

Le tappe storiche

La superconduttività è una proprietà che si verifica fin quando un materiale si trova ad una temperatura, ad un campo magnetico e ad una corrente applicata al di sotto di un certo valore critico. Questo concetto porta con sé tre caratteristiche fondamentali, che rappresentano le tre tappe storiche che conducono alla nascita dei superconduttori: la conduzione perfetta, il diamagnetismo perfetto e la transizione superconduttiva. Nel dettaglio:

  1. La conduzione perfetta indica la resistenza nulla alla conduzione elettrica e fu scoperta da Kamerlingh Onnes nel 1911.
  2. Il diamagnetismo perfetto indica la completa espulsione di un campo magnetico esterno. Fu scoperta da Meissner e Ochsenfeld nel 1933.
  3. La transizione superconduttiva, cioè il passaggio da materiale conduttore a superconduttore, è possibile al di sotto di certi parametri critici (temperatura, densità di corrente e campi magnetici). Fu confermata da Giaever, che si basò su alcune predizioni teoriche avanzate nel 1960.

Nel 1911 il fisico Heike Kamerlingh Onnes scoprì, per puro caso, che, quando un certo materiale metallico veniva raffreddato a temperature molto basse (al di sotto della temperatura critica Tc , vedi Figura 1), la resistenza elettrica calava a picco, fino a tendere a zero.

Fu soltanto a partire dagli anni ’50 del secolo scorso che la superconduttività cominciò ad aprire le porte ad un futuro industriale e commerciale per l’energia da fusione in modo da dissipare quanta più potenza possibile.

Figura 1: Temperatura critica per i più importanti superconduttori (Fonte: NTT)

I cavi superconduttori

I cavi superconduttori (vedi Figura 2) sono fondamentali nel generare alti campi magnetici, il cui compito è quello di stabilire un forte confinamento del plasma. Essi includono due grandi tecnologie:

  1. le spire (wires) suddivise in filamenti di diametro ridotto (al fine di ridurre le distorsioni del campo causate dalla magnetizzazione). Esse vengono accoppiate insieme in modo da minimizzare le perdite AC ed incassate in una matrice metallica (tipicamente rame). Ciò serve ad evitare il quenching, ossia la tempra nella metallurgia, nonché le cadute di flusso dovute alle instabilità magnetiche.
  2. I nastri (tapes), simili a dei wafer, sono impilati l’uno sull’altro. Ciò che ne risulta assume la forma di  cavi, detti di Roebel o Rutherford (a seconda del processo produttivo).
Figura 2: Struttura interna dei cavi superconduttori per ITER (Fonte: Hitachi Metals)

Struttura microscopica dei cavi superconduttori in Nb3Sn & NbTi

Essi diventano superconduttivi quando sono raffreddati con l’elio supercritico nel range di 4.5 K (-268.5 °C).

La lega NbTi rappresenta la migliore scelta per un filamento superconduttivo per via della sua temperatura di esercizio che può raggiungere valori al di sotto di 4.2 K e per il suo campo magnetico (misurato in Tesla), di poco inferiore a 10 T. Questo mostra una bassa temperatura critica (Tc = 9 K). È caratterizzato da un comportamento duttile e da un basso costo. In Figura 3 è schematizzato il processo di manifattura di filamenti in NbTi.

Figura 3: Processi per la realizzazione dei filamenti in NbTi (Fonte: Nature)

La lega Nb3Sn mostra proprietà migliori del NbTi (ad esempio una Tc = 18 K) e, come nel caso del precedente, può supportare temperature più basse di 4.2 K. Può operare con un ampio range di campi magnetici (10 – 20 T). Non è duttile (se non in seguito a complessi processi di fabbricazione), per cui risulta un materiale fragile che può, tuttavia, supportare enormi stress termo-meccanici. È costituito da Niobio puro in una matrice di bronzo. Il suo costo può risultare molto elevato.

La manifattura del conduttore comincia con la formazione di fili individuali, costituiti da una miscela di Niobio e Stagno, in seguito incastonata in una guaina in rame. Tre filamenti sono avvolti insieme per formare una tripletta e 32 triplette sono ammucchiate insieme per dare origine ad un petalo. Successivamente, 6 petali sono posizionati intorno ad un canale centrale in modo da ottenere un cavo di diametro 4 cm. Il cavo rende possibile lo scorrimento di elio liquido per raffreddare il cavo a temperature supercritiche. In Figura 4 è schematizzato il processo di manifattura di filamenti in Nb3Sn.

Figura 4 – Processi per la realizzazione dei filamenti in Nb3Sn (Fonte: researchgate.net)

Attualmente la tecnologia dei cavi superconduttori è in fase di test per numerosi reattori a fusione sparsi nel mondo, tra cui ITER.

Il progetto ITER

ITER (Reattore Termonucleare Sperimentale Internazionale, o la via in Latino) è uno dei progetti ingegneristici più ambiziosi, il cui scopo è di dimostrare la fattibilità scientifica e tecnica della fusione nucleare come risorsa energetica su larga scala. In particolare, esso è incentrato sull’autosostentamento del plasma.

Figura 5 – Cantiere di ITER, Cadarache (Francia) (Fonte: tio.ch)

Il progetto è stato sviluppato in un centro sperimentale internazionale con sede a Cadarache (in Provenza, nel sud della Francia). Esso coinvolge i maggiori Paesi industrializzati al Mondo (Europa, USA, Russia, Cina, Giappone, India e Corea del Sud) e il suo scopo sarà quello di produrre 500 MW di energia partendo da 50 MW di energia termica introdotta (Riferimento all’articolo “Il Breeding Blanket (BB) Per L’autosufficienza Della Fusione Nucleare).

Il reattore ITER si basa sul concetto di confinamento magnetico ed è costruito secondo la struttura del Tokamak, un particolare dispositivo di forma toroidale caratterizzato da un involucro cavo in cui scorre il plasma.

Il confinamento, quindi,  è il risultato della combinazione di un campo magnetico toroidale, particolarmente elevato e dovuto a delle bobine magnetiche, ed un campo magnetico poloidale, possibile attraverso l’iniezione di corrente nel plasma dall’esterno.

I principali superconduttori per ITER: Il solenoide centrale

Lo scopo dei magneti superconduttori in ITER è quello di creare una gabbia magnetica per mantenere il plasma lontano dalla pareti del Vacuum Vessel (VV) della macchina. Per fare ciò, essi devono essere in grado di sopportare elevati stress meccanico-strutturali, l’intenso bombardamento neutronico e gradienti termici estremi da 4 K a 150 milioni K sviluppatisi in una distanza di appena pochi metri. I magneti di ITER dovranno, inoltre, essere in grado di accumulare fino a 50 GJ di energia.

La costruzione del solenoide centrale (una bobina collocata nel foro centrale del toroide, anche definito spina dorsale del sistema magnetico di ITER, vedi Figura 6) rappresenta una sfida ingegneristica aperta.

Grazie alla corrente elettrica circolante attraverso il solenoide centrale, il plasma viene forzato a circolare all’interno del toroide, creando una corrente che genererà un campo magnetico. Il campo magnetico generato, in uno step successivo, orienterà la corrente di plasma verso il centro, mantenendo il plasma stesso lontano dalle pareti.

Per raffreddare i magneti alle temperature necessarie per la superconduttività, l’elio fluirà attraverso gli ingressi e le uscite dell’armatura, pressocché presenti in ogni parte del modulo. Le armature rinforzate dovranno sopravvivere per almeno 60 000 cicli di stress da fatica.

Figura 6: Schema strutturale del solenoide centrale di ITER (Fonte: semanticscholar.org)

Le bobine poloidali (PF coils), toroidali (TF coils) e le ausiliarie

In ITER il solenoide centrale non potrebbe da solo riuscire a confinare il plasma, per questo l’obiettivo è raggiunto grazie alla sovrapposizione di altri 4 sistemi di bobine magnetiche (vedi Figura 7):

  • 6 bobine poloidali (PF coils) circondano la superficie esterna del Tokamak e presentano un profilo anulare. Sono responsabili del campo magnetico poloidale. Esse contribuiranno alla stabilità del plasma spingendolo lontano dalle pareti.
  • 18 bobine toroidali (TF coils) con un profilo a D e 192 avvolgimenti circonderanno verticalmente il plasma. Ciascuna di esse comprende 5.5 km di lunghezza di cavi superconduttori e risulteranno essere i più grandi magneti in Nb3Sn mai costruiti.
  • 18 bobine di correzione posizionate tra le bobine toroidali e quelle poloidali avranno il compito di compensare gli errori nel campo dovuti alle deviazioni geometriche.
  • 31 magneti superconduttori di alimentazione saranno essenziali per regolare i liquidi criogenici che raffredderanno e controlleranno la temperatura dei magneti.
Figura 7: Schema strutturale dei magneti in una sezione verticale di ITER (Fonte: researchgate.net)

Conclusioni

Con queste ultime note, si conclude la nostra breve visita panoramica sui reattori a Fusione Nucleare, un connubio multidisciplinare tra scienza e tecnologia. Ciò che emerge con forza è la necessità di considerare i Tokamaks non come una somma di componenti a sé stanti, bensì come un gruppo coeso di parti che interagiscono tra di loro e collaborano, spesso su più fronti. La suddivisione in 3 challenges non è dunque così netta.

La compatibilità tra i vari manufatti tecnologici impiegati farà da ago di bilancia, determinando la fattibilità della fusione, con il conseguente impiego su larga scala.

La ricerca in questo campo è tuttora aperta, offrendo ad ognuno di noi la possibilità di contribuire a questo progetto, il cui scopo dichiarato è quello di avvicinare l’Uomo allo spazio portando il Sole sulla Terra.

Abbiamo stimolato la tua curiosità? Puoi saperne di più consultando le nostre fonti:

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