Non esiste suono più rilassante dello sciabordio delle onde che si infrangono sulla spiaggia. Costante ma mai ripetitivo, questo fragore di sottofondo ci regala un assaggio dell’immensa energia trasportata dalle onde. Ma da dove arriva tutta questa energia? E siamo in grado di sfruttarla per produrre elettricità? Può diventare una fonte rinnovabile rilevante nel mix energetico del futuro? Lasciamoci trasportare nei meandri del mondo marino per rispondere a questi interessanti quesiti.
Genesi di un’onda
Tutto ha inizio quando un refolo di vento lambisce una superficie d’acqua. La massa d’aria cede parte della sua energia all’acqua e l’attrito tra le due genera delle piccole increspature sulla superficie del mare, dette onde capillari. È lo stesso effetto che si ottiene soffiando sulla tazza del tè per raffreddarne il contenuto: quando soffiamo la superficie della bevanda diventa irregolare perché le particelle del liquido iniziano a muoversi, descrivendo un’orbita circolare.
Figura 1: a sinistra i primi momenti della creazione di un’onda, a destra le orbite circolari delle particelle d’acqua (fonte: The Geophile Pages)
Nella tazza di tè l’effetto finisce qui, perché la quantità d’acqua è limitata. In mare aperto, invece, le piccole increspature crescono, sviluppandosi in onde vere e proprie. In realtà il parametro determinante non è la quantità d’acqua, ma la superficie su cui spira il vento: il fetch. Più è esteso il fetch, più il vento è in grado di trasferire la sua energia, aumentando la dimensione delle onde. Ecco perché l’acqua di lago è mediamente più calma di quella di mare: le dimensioni ridotte dei laghi non permettono di avere sufficiente fetch per generare onde impetuose. Tuttavia, anche se esistesse una distesa d’acqua infinita le onde non crescerebbero all’infinito.
Questo perché ad un certo punto il mare giunge a una condizione di equilibrio con il vento. Le onde raggiungono la loro massima dimensione, sviluppandosi completamente. Anche se il vento smette di soffiare le onde rimangono stabili e iniziano a viaggiare per migliaia di chilometri, in attesa di infrangersi su una riva. Ecco spiegato perché a volte il mare è agitato anche in assenza di vento: le onde sono state generate in un punto lontano dove era presente vento, per poi propagarsi fino a raggiungere il lato opposto dell’oceano. Si chiamano swell waves (in italiano onde di mareggiata), sono cariche di energia ed estremamente regolari: il sogno di ogni surfista.
Figura 2: a sinistra uno schema della formazione delle onde, a destra delle swell waves nella Snapper Rocks australiana (fonti: Davide Gaeta Blog e Csiro)
Formule e mappe
Per quantificare l’energia delle onde si utilizza la seguente formula:
\[ E \sim H_{s}^2 T_{e} \left[ \frac{ kW } { m } \right] \]
dove E è il flusso energetico, Hs l’altezza significativa dell’onda (dato un certo numero di onde, Hs è la media dell’altezza del 33% delle onde più alte) e Ts il periodo dell’onda (l’intervallo di tempo tra due picchi).
Come si può notare dall’unità di misura, il flusso energetico corrisponde ad una potenza, espressa in kW, per unità di lunghezza. Questo perché il 95% dell’energia dell’onda risiede sulla sua superficie: la potenza viene dunque riferita alla lunghezza dell’onda in superficie, dove si concentra la quasi totalità dell’energia. Vi sarà forse capitato da bambini di imbattervi in un’onda improvvisa durante il bagno al mare. Se per scampare alla sua furia qualcuno di voi si è immerso in acqua ha fatto la scelta migliore: andando in profondità, infatti, l’energia dell’onda si riduce moltissimo. Come si distribuisce il moto ondoso nel mondo? La mappa qua sotto illustra la situazione media globale e ci permette di fare un paio di osservazioni. Innanzitutto, le onde sono scarse all’equatore ed aumentano di intensità a mano a mano che ci si avvicina ai poli.
Poi, osservando le coste ovest ed est di uno stesso tratto di oceano si nota come i flussi energetici maggiori siano sempre sulle coste esposte ad ovest. Tale schema ricorrente è una diretta conseguenza della ripartizione dei venti sul nostro pianeta, a sua volta derivante dalla disuniformità dell’irraggiamento solare. I venti soffiano sempre da ovest e sono più vigorosi ai poli: la distribuzione delle onde ne è una conseguenza. Inoltre è evidente come nel Mediterraneo e negli altri mari chiusi l’intensità sia nettamente inferiore rispetto ai grandi oceani. Questo perché, come spiegato nel capitolo precedente, in questi specchi d’acqua non c’è fetch sufficiente per far sviluppare completamente le onde, rendendole meno energiche.
Vento vs onde: una sfida all’ultimo Watt
L’energia delle onde è intensa e mediamente ben distribuita per il globo. Queste sono due ottime premesse per il suo utilizzo massiccio come fonte rinnovabile per la produzione di energia elettrica. Ma se le onde derivano dal vento, forse può sembrare più sensato produrre energia direttamente da quest’ultimo… non ci potrebbe essere collegamento logico più errato!
L’energia delle onde è infatti molto più concentrata rispetto a quella del vento. Per capirlo studiamo i profili di intensità delle due fonti. La potenza del vento cresce con la quota, mentre le particelle d’acqua decrementano la loro energia con la profondità. Le pale eoliche si posizionano quindi nel punto meno ottimale per estrarre potenza: in prossimità del suolo, dove l’energia del vento è più bassa. Ecco perché le turbine diventano sempre più alte: cercano di accedere a zone in cui i venti sono più intensi, ma sono vincolate da limiti strutturali che ne impediscono un’elevazione eccessiva. Al contrario, un convertitore di energia da moto ondoso galleggiante in mare si trova già nel punto in cui l’energia delle onde è la massima possibile… che fortuna!
In aggiunta, la grande inerzia delle onde riduce la loro variabilità, rendendole meno imprevedibili dei venti. Ma allora perché questa energia è ancora largamente inutilizzata? Il motivo risiede nella complessità tecnologica del progettare convertitori in grado di trasformare il moto oscillante delle onde in una rotazione stabile, essenziale per alimentare un generatore elettrico.
Con il vento è molto più semplice, infatti sono migliaia di anni che siamo in grado di imbrigliare la sua forza tramite gli elementi rotanti dei mulini. Questo distacco viene bene espresso da Luis Vega, il direttore della Hawaii National Marine Renewable Energy Centre, quando afferma: “Se l’energia eolica ha una laurea, l’energia dalle onde è ancora in prima elementare”. La strada è lunga, ma la voglia di imparare non manca di certo.
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