Almanacco dei convertitori di energia ondosa… gotta catch’em all!

Tutti da bambini sognavamo di vivere la grande avventura di Ash Ketchum, che esplorava in lungo ed in largo il mondo dei Pokémon con l’intento di catturarli tutti. Oggi vi faremo sperimentare un’impresa simile, perlustrando il mondo dell’energia ondosa. Esistono così tante tecnologie per convertirla in energia elettrica (alle quali ci riferiremo con l’acronimo inglese WEC, che sta per wave energy converter) che vi verrà voglia di collezionarle tutte! Viaggeremo nei secoli e nei mari di tutto il mondo per conoscere gli ingegnosi modi scoperti fino ad ora per sfruttare la forza dell’oceano… Preparate le Pokéball: questo è l’inizio di una grande avventura.

Un convertitore… barocco!

La storia dei WEC inizia molto lontano. Può sembrare strano, ma il primo brevetto di un convertitore di energia ondosa risale addirittura al 1799! L’idea è estremamente semplice: nelle vicinanze della costa, un galleggiante è collegato ad un circuito idraulico tramite un pistone. Quando le onde mettono in moto il galleggiante, il pistone viene ripetutamente compresso e decompresso generando una differenza di pressione che mette in moto un fluido idraulico. Il fluido fa infine girare un generatore, trasformando la sua energia cinetica in energia elettrica. Come primo tentativo non è niente male, tanto da essere stato ripreso più di 200 anni dopo dalla start up israeliana Eco Wave Power.

Figura 1: schema di funzionamento ed impianto operativo dell’Eco Wave Power (fonte: Ecquologia)

Segnali dal Giappone: OCW

Dopo il brevetto di fine Settecento, i WEC caddero nell’oblio. Furono riscoperti nel 1960 dal comandante giapponese Yoshio Masuda (compatriota dei nostri amati Pokémon), che inventò l’OCW: Oscillating Water Column, traducibile come Colonna d’Acqua Oscillante.

Consiste nel convogliare la massa d’acqua portata da un’onda all’interno di una stanza di cemento a ridosso della costa. Quando arriva l’onda, il livello dell’acqua nella stanza sale, comprimendo la massa d’aria al di sopra. È la stessa cosa che accade quando vi sedete sopra un palloncino: l’aria al suo interno si comprime sempre più, fino a quando non scoppia! Per evitare il botto, l’aria deve essere libera di uscire dalla stanza. Passa attraverso una turbina, che viene dunque messa in rotazione e che a sua volta mette in rotazione un generatore elettrico. Quando l’onda torna indietro, l’aria rientra all’interno della stanza sempre passando attraverso la turbina e il ciclo ricomincia.

Il processo è molto semplice e utilizza poche parti in movimento, rendendolo poco incline a danneggiarsi. Purtroppo questa tecnologia porta con sé degli impatti molto forti, sia dal punto di vista acustico (le turbine sono molto rumorose) che ambientale (ricoprire le spiagge di colate di cemento non è il massimo per la conservazione del paesaggio). Questo la rende poco applicabile se non in contesti molto particolari, come integrandola nei frangiflutti dei porti.

Figura 2: a sinistra schema di funzionamento degli OWC, a destra un impianto integrato nel frangiflutti del porto di Mutriku nei paesi baschi (fonte: E-nsight)

Steven Salter, tra spine e papere

Spostiamoci ora nella Scozia del 1974, dove il professore Steven Salter sta per inventare una nuova tipologia di WEC. Il suo obiettivo era quello di portare i convertitori in mare aperto, dove essendoci onde più intense ci si aspetta una produzione di energia più elevata. Il grande problema di essere in mezzo al mare è però trovare un punto di riferimento. Per raggiungere i nostri scopi è infatti necessario un moto relativo tra due oggetti, uno che si muove con le onde e uno che sta fermo, altrimenti non si riesce ad estrarre l’energia ondosa per trasformarla in energia elettrica.

Nel caso dell’Eco Wave Power e dell’OCW il punto fisso viene fornito dalla costa, a cui il WEC si ancora come una cozza. Ma in mare aperto come si fa? Il professor Salter ha ideato un corpo dalla forma allungata, che quando incontra un’onda inizia ad oscillare verso l’alto e verso il basso, reagendo contro un elemento fisso al suo interno chiamato spina. A causa della forma dell’oggetto, molto simile ad un becco, questa tecnologia ha preso l’affettuoso nome di Duck: papera.

Figura 3: componenti e schema di funzionamento del Duck di Stever Salter (fonte: Technology Student)

La spina riesce a restare ferma in balia delle onde grazie a dei generatori elettrici giroscopici. I giroscopi sono degli oggetti che, grazie alle leggi fisiche della conservazione del momento angolare, ruotano mantenendo sempre fisso il loro asse, anche se soggetti a forti sollecitazioni esterne. Spiegare nel dettaglio come ci riescano è veramente complicato, ma se siete fan di Harry Potter possiamo aiutarvi a capire come siano fatti: la Giratempo, utilizzata nel terzo libro della saga per viaggiare nel passato, è proprio un giroscopio.

Figura 4: giroscopi del secolo scorso (fonte: Museo Virtuale Fisica Nievo)

Energia ondosa, il nuovo WEC

Nonostante la portata rivoluzionaria di questa idea, nessun Duck ha mai solcato gli oceani. Durante i test in laboratorio, il professor Salter si è accorto che le sollecitazioni sulla spina erano troppo forti, mandando in frantumi l’intero sistema. Ma ecco che uno degli allievi di Salter si chiede se non sia possibile utilizzare direttamente la spina per produrre energia: ecco quindi che nasce il Pelamis.

La sua storia è troppo affascinante per dedicargli soltanto poche righe: la trovate per intero nell’articolo “Storia di un fallimento: l’energia del mare ci insegna ad imparare dai nostri errori”. Le idee di Salter hanno addirittura attraversato il continente, ispirando i ricercatori del Politecnico di Torino nel progettare l’ISWEC, un altro WEC che sfrutta i giroscopi per funzionare. Al contrario del Duck, l’ISWEC è stato costruito e messo in operazione in mare nel 2015, più precisamente lungo le coste di Pantelleria: un orgoglio tutto italiano.

Figura 5: ISWEC al largo di Pantelleria (fonte: Wave for Energy)

Un punto per domarli: oscillatori puntuali

L’idea del professor Salter di creare un punto fisso in mezzo all’oceano è diventata il punto di partenza per numerose ricerche. Così nasce una nuova generazione di WEC: gli assorbitori puntuali. Sono delle piccole boe messe in oscillazione dalle onde. L’esempio più di successo è il Power Buoy, ideato da un’azienda statunitense. È formato da un galleggiante mantenuto in posizione da una pesante piastra immersa in acqua.

Quando sollecitato da un’onda, il galleggiante inizia ad oscillare mentre la piastra rimane ferma, grazie sia alla sua inerzia che alla sua profondità. (come spiegato nell’articolo “Energia delle onde, dal surf all’elettricità”, la maggior parte dell’energia ondosa è concentrata sulla superficie dell’acqua). Il moto relativo tra le due porzioni attiva un sistema meccanico che converte l’oscillazione in una rotazione, in grado di far funzionare un generatore elettrico. Il Power Buoy è uno dei pochissimi WEC presente oggi in commercio, dalle taglie di 3 kW e 10 kW: se possedete un braccio di mare potete acquistare il vostro Power Bouy personale!

Figura 6: a sinistra componenti del Power Buoy, a destra un esemplare in mare aperto (fonte: Ocean Power Technologies)

Esiste anche un sottogruppo degli oscillatori puntuali adatto per essere posizionato nei mari poco profondi. Il funzionamento è analogo a quello del Power Buoy, ma il punto fisso non viene fornito da una piastra pesante, bensì dal fondo del mare tramite un ancoraggio in tensione. Il moto relativo avviene dunque tra l’oscillazione del galleggiante e l’ancoraggio sul fondale: un punto decisamente immobile! Su questo principio si basano i progetti Corpower e CETO.

Conclusione

La differenza tra i due è che mentre il galleggiante di Corpower si trova sul pelo dell’acqua, quello di CETO è leggermente sommerso. Essendo il massimo dell’energia ondosa sulla superficie dell’acqua, l’idea di CETO non sembrerebbe molto intelligente. Ma se da un lato la produzione di energia non è massima, dall’altro si riesce a rendere l’impianto invincibile alle tempeste. In caso di burrasca in avvicinamento, il galleggiante di CETO viene portato sul fondale riavvolgendo il cavo dell’ancora, facendogli superare indenne la tormenta. Non a caso questo progetto è stato ideato in Australia, una terra nota per le tempeste devastanti… le difficoltà aguzzano l’ingegno.

Figura 7: a sinistra Corpower, a destra CETO (fonti: Typo e Carnegie Clean Energy)

Quante tecnologie diverse abbiamo passato in rassegna oggi! Tutte con un obiettivo comune: imbrigliare la forza delle onde per generare energia elettrica pulita. Ad oggi sono tutte in fase di sviluppo e giocano tra di loro alla pari. Chissà se un giorno una di esse prevarrà sulle altre, diventando lo standard industriale… sarebbe l’equivalente dei Pokémon leggendari nel mondo dei WEC. Per il momento ci dilettiamo a scoprire tutte le loro caratteristiche uniche, collezionandole nel nostro personale album della sostenibilità.

Abbiamo stimolato la tua curiosità? Puoi saperne di più consultando le nostre fonti:

Avatar Ilaria Giaccardo