Se parliamo di gas serra o di riscaldamento globale, pensiamo subito ad una cosa: anidride carbonica (CO2). Ma di questa semplice molecola in realtà non sappiamo nulla. Sentiamo tanto parlare di riduzioni di emissioni di CO2 ma mai, per esempio, di metano (CH4) che fornisce un contributo maggiore al riscaldamento globale. Le comunità scientifiche esprimono costantemente la loro preoccupazione e l’urgenza di una transizione energetica ma alle volte non ne comprendiamo il motivo. La risposta a queste domande è legata specialmente al comportamento della CO2 in atmosfera, ossia quanto a lungo questo gas rimane in aria una volta emesso dalle attività umane.
Il ciclo del carbonio
Le fonti naturali di CO2 atmosferica (combustione, decadimento naturale della materia organica, respirazione delle piante, …), dette sorgenti, sono bilanciate da una serie di processi fisici, chimici o biologici, chiamati pozzi, che tendono a rimuovere la CO2 dall’atmosfera.
Nel complesso la presenza dell’anidride carbonica nell’atmosfera è dovuta al ciclo del carbonio e la CO2 non distrutta nel corso del tempo si accumula nel sistema oceano-atmosfera-terra, spostandosi da un comparto all’altro: parte di essa può essere assorbita dagli oceani o dalla vegetazione, mentre la parte in eccesso si accumula in atmosfera.
Gli oceani hanno un ruolo fondamentale nel bilancio del carbonio, costituiscono una vera e propria riserva di carbonio e contengono quantità enormi di CO2, fino al 79% di quella naturale. L’incremento di temperatura dell’acqua, dovuto al riscaldamento globale, però diminuisce la solubilità della CO2. Di conseguenza, tale aumento sposta CO2 dal mare all’atmosfera, incrementando l’effetto serra. L’anidride carbonica si va così accumulando nell’atmosfera, in quanto i processi di assorbimento dell’oceano non riescono a compensare del tutto il flusso entrante di carbonio.
Per quanto piccole rispetto al totale, le emissioni antropiche (legate all’uso di combustibili fossili, deforestazione, gestione dei suoli, …) sono sufficienti a squilibrare l’intero sistema. In sintesi, la permanenza di CO2 in atmosfera è determinata da un processo di bilancio (assorbimenti/emissioni) che a causa delle attività antropiche va modificandosi.
Il tempo di permanenza della CO2
Se svolgiamo una semplice ricerca a riguardo, ci accorgiamo che ogni articolo ci propone un tempo di permanenza della CO2 differente. I valori sono così diversi perché sono tutti sbagliati. Per descrivere la durata di una sostanza nell’atmosfera, di solito si utilizza un parametro detto tempo di vita medio che rappresenta rispettivamente il tempo dopo il quale è ancora presente in atmosfera il 37% della quantità iniziale.
Generalmente le sostanze hanno uno specifico processo di rimozione e la dinamica è di tipo esponenziale, per cui il tempo di vita medio può essere stimato a partire dalla costante che descrive il decadimento esponenziale.
Per molti gas serra esistono quindi delle apposite tabelle che danno i tempi di vita. Riportiamo una porzione della tabella descritta nel Quinto rapporto IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico). Come si può osservare, per la CO2 non è indicato un valore di tempo di vita medio, ma c’è una nota in cui si legge “No single lifetime can be given”, cioè per la CO2 non c’è un unico tempo di permanenza nell’atmosfera.
Ciò è dovuto alla presenza di molti processi di rimozione con tempi molto diversi, per cui la dinamica del decadimento non può quindi essere rappresentata da una funzione esponenziale.
Il processo di assorbimento della CO2
L’andamento (linea blu del grafico successivo) indica che quando emettiamo una certa quantità di CO2, metà della CO2 aggiunta è rimossa dall’atmosfera entro 30 anni, un terzo è presente nell’atmosfera dopo circa 100 anni e un quinto ancora dopo 1000 anni; e continua in tutto questo tempo a esercitare il suo potere riscaldante.
Anche se il tempo medio di residenza di una molecola di CO2 nell’atmosfera è di circa 3 anni, va considerato che una volta assorbita dall’oceano la stessa molecola può essere riemessa nell’atmosfera; per questo motivo , rispetto ad altri gas serra, risulta sicuramente quella che è più soggetta a maggiore permanenza.
Se si confronta l’andamento del decadimento della CO2 con quello delle altre due importanti gas serra (metano CH4 e protossido di azoto N2O), si intuisce che il problema è che a differenza di CH4 e N2O, che hanno tempi di vita medi di 12,4 e 121 anni, l’andamento della CO2 ha una coda molto lunga: un decimo della CO2 emessa rimane in atmosfera per molte decine di migliaia di anni.
Su questa scala temporale continua ad essere rimossa dall’oceano, perché la parte già assorbita dal mare reagisce e si dissolve e permette ad altre molecole di CO2 atmosferica di essere assorbita.
Nel lunghissimo periodo (> 15.000 anni) diventa preponderante il (lento) processo di rimozione di CO2 tramite la sua reazione con le rocce, ovvero i silicati solidi della Terra, per formare carbonati.
Conclusione
Le implicazioni della comprensione di questa particolarità della CO2 sono molte. In particolare, si può subito comprendere come le conseguenze delle mancate politiche attuali di contenimento delle emissioni di CO2 dureranno molte migliaia di anni.
Inoltre, se si vuole ridurre la presenza di CO2 nell’atmosfera in tempi rapidi e in modo sensibile non basta mandare a zero le emissioni, ma bisogna trovare il modo di sottrarre la CO2 in eccesso, per esempio attraverso lo sviluppo (già in atto) e la diffusione di tecnologie di cattura e riutilizzo dell’anidride carbonica, conosciute come CCUS (Carbon Capture, Utilisation and Storage), senza dimenticare tutti gli altri gas serra che possono comunque rappresentare un rischio altrettanto grave per la salute.
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